lunedì 31 dicembre 2007

FOTO DELL'ANNO: IRAQ FOR RON PAUL

Buon 2008!
PEACE IN THE WORLD
PEACE WITH RON PAUL PRESIDENT!


Captain Joe, ufficiale americano in Iraq, ha regalato i volantini di Ron Paul ai bambini di Baghdad.
"Ho pensato: i bambini vogliono semplicemente qualcosa di americano. Di solito e' cosi'... e allora glielo ho dato! Questi bambini irakeni stanno mostrando le liberty card di Ron Paul che ho dato loro".




La foto è di pochi giorni fa a Baghdad. Il giovane ufficiale ritratto con i bambini iracheni l'ha messa nel suo blog.
Questo ragazzo coraggioso di 26 anni, padre di due bambini, non esita a scrivere la verità sulla situazione disastrosa delle truppe Usa in Iraq: "siamo attaccati continuamente perchè siamo occupanti" e racconta l'inganno di tanti soldati arruolati perché credevano di difendere la loro patria, ma una volta giunti in Iraq si sono accorti di essere finiti in tutt'altra storia, che precipita la nazione americana nell'infamia.
Ron Paul è il candidato che ha più appoggio e finanziamenti dai militari in servizio, seguito a distanza da Obama.
Il nostro "captain Joe" è tra questi, e non esita a scrivere una lettera aperta a migliaia di concittadini in favore di Ron Paul, l'unico che ha l'incorruttibilità per tirare fuori l'America dal pantano: "diffondo in giro per l'Iraq la buona notizia del guardiano della liberta' più fidato che c'è in America, Ron Paul". E racconta ai bambini di Baghdad che dall'altra parte del mondo c'è ancora qualcuno che vuole dargli un futuro di pace.

Julian, sette anni, completa il cerchio della speranza paulista intorno al mondo.

sabato 29 dicembre 2007

Meteo Florida: variabile con Ron Paul Blimp

Si consiglia di cliccare sulla foto per usufruire meglio del panorama di Jacksonville.

La webcam-meteo riprende Jacksonville, la città più grande della Florida. E' Venerdì pomeriggio, temperatura media di 20 gradi, tempo variabile con Ron Paul blimp.
In serata tutte le televisioni locali hanno trasmesso immagini del blimp in volo sulla città, che conta oltre un milione di abitanti. Gli organizzatori del blimp-tour stimano una ricaduta pubblicitaria gratuita di valore pari al 630% dell'investimento.



Meteo Iowa: ghiaccio per tutti, Ron Paul liscio.

(tratto da Iowa Independent, 28.12.2007)

Huckabee appare sempre in testa nel consenso in Iowa, seguto da Romney.
Ron Paul consolida un netto terzo posto, svaniscono Giuliani, McCain e gli altri.
(...)
I rivali elettorali cominciano a ragionare nervosamente sul fatto che Paul si piazzerà nei primi tre al caucus del 3 Gennaio. Paul ha superato il 10% in almeno due sondaggi per la prima volta questa settimana, e sembra particolarmente forte nelle zone dello Stato in cui i media sono meno incidenti sulle scelte politiche, specialmente nelle aree rurali del nord-ovest e sud Iowa. Andando a vedere i siti sostenitori di Ron Paul in Iowa si trovano le discussioni dettagliate riguardo i regolamenti e le strategie per i caucus. I Paulites sono più pronti per la notte dei caucus di quanto si renda conto la maggior parte degli osservatori.

venerdì 28 dicembre 2007

Ron Paul sul Pakistan: basta con i governi fantoccio degli Usa!

Ron Paul è intervenuto ieri sera (ora italiana) in diretta sulla CNN ed è stato ascoltato al telefono da Fox mentre da poco era arrivata la notizia dell'assassinio di Benazir Bhutto in Pakistan.

“Basta, ne abbiamo abbastanza della politica estera americana” ha detto Paul.

Molti candidati alla presidenza, Clinton, Giuliani, McCain, invece hanno subito invocato un maggior impegno dell'America in Pakistan (Giuliani ha convocato una conferenza stampa evocando l'undici settembre e l'islamofascismo...).
Proprio poco prima di Natale il Congresso Usa aveva contestato al governo l'utilità di ulteriori stanziamenti americani verso il Pakistan, giunti a 10 miliardi di dollari dall'11 Settembre 2001. Secondo alcuni analisti militari americani, i soldi anziché essere investiti nell'antiterrorismo, in buona parte sarebbero finiti al partito di Musharraf e a rafforzare gli armamenti che tengono alta la tensione alle frontiere con l'India.
Paul ha dichiarato che se sarà eletto presidente interromperà l'inutile flusso di denaro e di truppe in Pakistan: “L'America ha usato i suoi soldi per aiutare un dittatore che ha rovesciato un governo eletto. Il presidente pakistano Musharraf non è altro che un fantoccio degli Stati Uniti. Questa specie di governo fantoccio degli Stati Uniti crea soltanto le ire di Al-Qaeda nella regione.”
Alla domanda se non fosse preoccupato del subentro al potere di Al-Qaeda o di un regime fondamentalista islamico, in un paese con capacità nucleare, Paul ha risposto di sì. “Ma sono anche preoccupato, -ha aggiunto- delle numerose armi nucleari ex-sovietiche che probabilmente stanno circolando in Asia centrale.”
Paul ha ribadito la sua concezione di libere relazioni economiche tra nazioni in un quadro democratico, ammonendo gli Stati Uniti per la loro politica verso i governi esteri fatta di corruzione e di minaccia d'intervento armato. “Peraltro non possiamo fare nessun intervento senza prendere i soldi in prestito dalla Cina!” “Gli abbiamo già dato dieci milardi di dollari pensando che servissero a trovare Bin Laden, ma non l'hanno ancora trovato”.
A scenario dato, questo intervento è eccellente, per essere pronunciato da un candidato presidente americano: coraggioso, senza ipocrisie e anche senza parole di troppo.



Ron Paul sul Pakistan alla CNN. In studio Amazing Blitzer.

giovedì 27 dicembre 2007

Blondet sulle minacce di morte a Ron Paul

Nei giorni scorsi sono uscite negli Usa diverse notizie riguardanti minacce di morte reali o possibili indirizzate a Ron Paul. Avevamo deciso di soprassedere e non riferire, privilegiando il clima di entusiasmo e di speranza che caratterizza l'avventura paulista. Ma forse è meglio dare conoscenza di questi foschi intrecci, è meglio sapere e confidare che una maggiore diffusione possa mettere in difficoltà i malintenzionati.

Ogni tanto aggiorno Maurizio Blondet, direttore di Effedieffe, sulle ultime news interessanti riguardanti il nostro beniamino. In realtà Blondet non ha bisogno di noi, è uno dei giornalisti più informati e coraggiosi in Italia, da sempre.

Qualche giorno fa ha scoperto tracce insospettabili (o forse no...) dietro il nazista che accusa Ron di essere nazista, e oggi ha risposto su Effedieffe alle mie ultime ottimistiche notizie sui sondaggi, aggiungendo come sempre qualche particolare dovuto alla sua grande conoscenza della storia politica americana. Speriamo davvero solo che un certo pessimismo possa essere sconfitto dalla diffusione, per ora incensurata, delle notizie su internet. Internet ai tempi di Bob Kennedy non c'era...
Segue la risposta di Blondet alla mia email.


***************


Sto seguendo l’ascesa di Ron Paul. Ma sono purtroppo convinto che non gli sarà consentito di presentarsi alle presidenziali, nonostante l’evidente favore popolare che sta ottenendo (o meglio: proprio per questo).Sì, una sua conferenza in DVD ha venduto 60 mila copie in poche ore. Sì, la gente gli ha donato in tre mesi 18 milioni di dollari. Sì, il sondaggista Zogby ha ammesso che Ron Paul “vi sorprenderà”. E sì, Ron Paul è un combattente di grande lucidità e coraggio. Ma proprio per questo, l’establishment non potrà permettere che l’America sia governata da un presidente che non dipende dagli interessi costituiti e dalla nota lobby. Daniel Estulin, il giornalista investigativo che ha dedicato la sua vita ad indagare sul Bilderberg, ha detto di aver saputo che ai piani alti del potere stanno considerando se sia il caso di uccidere Ron Paul. “Ho avuto l’informazione da due fonti diverse che non si conoscono fra loro”, ha detto Estulin. Ed ha aggiunto che le due fonti avevano colto la notizia in ambienti neo-con. Non è cosa da prendere alla leggera: ricordiamo l’attentato che stroncò il populista Huey Long, che ebbe lo stesso successo di Paul. Durante una recente intervista a Ron Paul della CNN, sullo schermo si è vista scorrere la scritta “Paul is dead, Paul is dead, Paul is dead”.


Qualcosa di simile accadde a Robert Kennedy, poco prima del suo assassinio nel 1968.

Maurizio Blondet

RON PAUL SCONGELA LO IOWA!

IOWA
RepublicansDec 16-19Dec 20-23

Giuliani13%14%
Huckabee28%23%
Hunter-2%
Keyes1%2%
McCain20%17%
Paul4%10%
Romney17%21%
Tancredo1%ritirato
Thompson5%3%
Undecided11%8%
(600 likely Republican caucus goers, Dec. 20-23, 2007, 4.0 MofE)


A otto giorni dal voto in Iowa, un primo rilevamento “istituzionale” (sempre via telefono fisso, tra elettori già repubblicani) curato da American Research Group dà Ron Paul al 10%, nel contesto di una “classifica corta”, che più volte abbiamo considerato realistica, aldilà di quanto i sondaggi -ma sarebbe meglio chiamarli gli orientatori- di opinione vogliono trasmettere.

Il salto, in una settimana dall'ultimo rilevamento dello stesso istituto, dal 4 al 10%, si spiega in due modi:

  1. il parziale riconoscimento di una mobilitazione di base, spontanea e volontaria per Ron Paul che non ha uguali in questa campagna elettorale, come riconoscono gli stessi avversari e i media non certo favorevoli.

  2. Mi azzardo a scrivere che gli istituti di analisi raddrizzano il tiro per non compromettere troppo la loro reputazione, in vista del giorno in cui il responso delle urne dovesse dare numeri troppo lontani da quelli che loro hanno continuamente predetto.

Il margine di errore è del 4%, il campione è esiguo: i candidati sono tutti ammucchiati in un nulla, l'unico balzo in avanti è quello di Ron Paul! Lo Iowa non è tra gli stati più facili per il messaggio paulista, basti pensare che ha un territorio di grandi estensioni agricole recentemente portate ad etanalolo con sovvenzioni federali, a cui Paul si è sempre opposto.

Ancora sotto Natale noti esponenti neocons si sono sbilanciati in attacchi pesanti verso Ron Paul. Difficile pensare che personaggi finora così interni alle cerchie del potere in carica, sprechino fiato per un candidato irrilevante, anziché ignorarlo.


Inverno nelle pianure centrali. Stati Uniti d'America, Dicembre 2007.

lunedì 24 dicembre 2007

Ron Paul e la Christmas rEVOLution

Luca Cambiaso (Genova, 1527 - El Escorial, 1585)
Madonna con Gesù Bambino e San Giovannino.
Blanton Museum, Austin (Texas).


La revolution di Ron Paul non si ferma a Natale. Non può fermarsi una revolution dove il “love” è il vero sigillo di tutta l'avventura e non uno slogan fatto oggi per la campagna elettorale e domani, chissà, per i libri. Ogni persona camminando lungo la sua personale Ron Paul road ha ritrovato il cuore della love-revolution: l'amore è più grande del potere. Questa è anche l'affermazione del Natale: nessun dio-potere, ma un Dio-amore che si fa bambino, non potente. Abbiamo tante sensibilità diverse su Dio, sulla sua esistenza, il suo volto e il suo messaggio, se c'entra con la politica o se sia qualcosa da tenere per sé. E tuttavia, noi che percorriamo la love-revolution, non possiamo voltare lo sguardo al Natale! Si chiedeva Ron Paul nel 2003: “Natale è una sorta di segreto, una parola da non pronunciare in pubblico?” E ancora di recente: “ Non sono mai stato uno particolarmente a suo agio nel parlare della propria fede in ambito politico, e trovo artificioso l'approccio al tema che di solito si verifica sotto elezioni. La nostra nazione è stata fondata per essere un luogo dove la pratica religiosa è libera e dove le differenze vengono tollerate e rispettate. Io ho fede in Gesù Cristo, e lo accolgo come mio personale salvatore. Io cerco la sua guida in ogni cosa che faccio, so che le nostre libertà non vengono dagli uomini ma da Dio. La storia del mio servizio pubblico riflette il mio rispetto per i diritti naturali che ci sono stati attribuiti da un Creatore amorevole. Allo stesso tempo, ho lavorato instancabilmente per difendere e ripristinare i diritti individuali e la libertà religiosa per tutti gli americani.
Ron Paul, per quanto a disagio come dice, non evita di affermare la sua identità cristiana.
Allo stesso tempo, migliaia di americani diversi da lui non hanno problemi nel riconoscersi in lui come leader politico. Di sicuro la coerenza e la moralità ineccepibile di Ron aiutano. Quando un uomo, qualsiasi uomo, dimostra di servire il bene e la libertà e la giustizia e testimonia che la sua forza nel servire viene dall'inchinarsi davanti all'amore di Dio fatto Bambino, allora nessuno deve temere quel Dio fatto Bambino. Non abbiamo paura, cristiani tutti, non abbiate paura, fratelli tutti ovunque sulla terra: il Natale di Gesù è amore che non esclude. Buon Natale a tutti!



sabato 22 dicembre 2007

ZOGBY: RON PAUL VI SORPRENDERA'

Si rompe l'omertà sull'irresistibile ascesa di Ron Paul

Ron Paul in Iowa nei giorni scorsi.


John Zogby il ritorno, potremmo dire.
E' il re dei sondaggisti, insieme a Gallup. Settimane fa lo accusavo di ambiguità, forse sbagliavo, forse la sua era cautela nel guardare un candidato quasi ignoto ma in crescita vertiginosa e tuttavia difficile da rilevare, con le obsolete ( e a volte capziose) interviste telefoniche. Già Zogby fece un'uscita eclatante un mese fa: secondo lui Paul era al 15-16% in New Hampshire, ma lo disse, e non lo pubblicò, come il suo mestiere pretenderebbe. Poi, su commissione, fece un'indagine proponendo i profili politici dei candidati senza farne il nome, e Paul risultò nettamente primo.
Zogby ora racconta quello che tutto il ceto politico e giornalistico sa e non dice. Scrive della grande ascesa di Ron Paul, e non a caso lo fa su uno dei pochi grandi media conservatori indipendenti, Newsmax. Si scatena la ridda di commenti, per ora tra i paulisti. Qualcuno sostiene persino che le origini cattoliche e libanesi di Zogby lo portino ad un implicito appoggio dell'unico candidato presidente che abbia avuto parole di solidarietà verso la martoriata terra dei cedri.
E' un articolo dove in poche righe per ciascuno sono descritte le condizioni di battaglia dei candidati repubblicani. Paul significativamente è analizzato per ultimo, è il botto. Dopo di lui, il paragrafo da brivido che chiude l'analisi.


tratto da Newsmax

Zogby: Ron Paul Will Surprise You

Friday, December 21, 2007 2:16 PM

By: John Zogby

(...) «Ron Paul: andrà meglio di quanto si possa immaginare. Vedrete Paul raggiungere un risultato a due cifre in Iowa. Perché? Lui è diverso, si distingue. E' contro la guerra, e gli elettori repubblicani contro la guerra, che sono uno su quattro, sono tutti con lui. Il libertarismo è in tendenza, specie tra i free-market republicans e tra i ventenni. Inoltre ha l'appeal di una figura paterna. E' il marchio di se stesso. Tutto ciò che deve fare è battere un paio di grandi nomi in Iowa, il New Hampshire è territorio amico. Dopo tutto, il motto dello Stato è "Live Free or Die", vivi libero o muori.

C'è la reale possibilità che non avremo ancora chiarezza nel campo repubblicano, dopo il 5 Febbraio. [data in cui votano ben 21 stati! n.d.t.]
I grandi progetti delle prime linee potranno cadere sotto il fuoco delle retrovie. Comprenderete la paradossale metafora.
»

venerdì 21 dicembre 2007

Ron Paul, una storia del dollaro

Pubblichiamo un intervento di Ron Paul nel 2006 alla Camera.

Una lettura storico-critica dell'egemonia del dollaro che arriva a toccare le recenti vicende dell'Iran, dell'Iraq e del Venezuela.
Il testo italiano è disponibile grazie al lavoro di Usemlab, uno dei primi siti ad occuparsi di Ron Paul in Italia.
Per chi è interessato a questi temi, segnaliamo anche un' impegnativa ma utile analisi appena tradotta su comedonchisciotte.org


La fine dell'egemonia del Dollaro

On. Ron Paul di fronte alla "House of Representatives"

discorso del 15 febbraio 2006.

Traduzione a cura di Jacopo Perego.





Cent'anni addietro la si chiamava “diplomazia del dollaro”. Dopo la II Guerra Mondiale, e soprattutto dopo la caduta dell'Unione Sovietica nel 1989, questa diplomazia lasciò il posto a una vera e propria “egemonia del dollaro”. Adesso, dopo anni di grandi successi il dominio del dollaro sta giungendo a conclusione.

Si diceva, giustamente, che colui che possiede l'oro detta le regole. In passato infatti, un commercio onesto e corretto richiedeva lo scambio tra beni che avessero un valore reale.

In principio esisteva semplicemente il baratto. In seguito si scoprì che l'oro, accettato universalmente, si poneva come un conveniente intermediario al posto delle ingombranti e difficoltose transazioni dirette. Non solo l'oro facilitava lo scambio di beni e servizi, fungeva anche da riserva di valore per coloro che volevano risparmiare per i tempi più difficili.

Benché la moneta abbia trovato una naturale evoluzione nel mercato, con l'accrescere dei loro poteri politici ed economici i governi si appropriarono presto di un controllo monopolistico sopra la stessa. Talvolta re e imperatori riuscirono a farsi garanti della qualità e purezza dell'oro. Nella maggior parte dei casi però, e nella speranza che i sudditi non scoprissero la frode, essi inflazionarono la moneta riducendone l'ammontare di metallo così da poter spendere più di quanto incassavano. Nuove imposizioni fiscali, così come l'inasprimento di quelle già esistenti, suscitavano infatti la disapprovazione dei contribuenti.

Di fronte a questa situazione molti capi di governo andarono a cercare nuovo oro fuori dai propri confini, tramite la conquista di altre nazioni. Finanziare progetti bizzarri e dispendiosi conquistando terre straniere pareva una logica alternativa al lavoro e alla produzione di beni reali. Queste conquiste non solo portavano a casa carichi d'oro, ma anche carichi di schiavi. La tassazione delle popolazioni dominate costituiva un ulteriore incentivo all'impero. La cose funzionavano per un periodo di tempo durante il quale ci si abituava a vivere aldilà dei propri mezzi, godendo panem et circenses. Il declino morale della popolazione conduceva quindi a una progressiva inerzia della stessa fin quando il limite numerico alle nazioni che potevano essere saccheggiate e derubate portava inevitabilmente al crollo dell'impero. In mancanza di nuovo oro, le potenze militari si sgretolavano. A quel punto, coloro che possedevano l'oro potevano veramente dettare le regole e vivere dignitosamente.

Questa regola generale funzionò per diverse epoche. L'utilizzo dell'oro come moneta e la salvaguardia di un commercio onesto portava le nazioni più virtuose a prosperare. Tuttavia, quando un paese dotato di un esercito potente e grandi riserve d'oro cominciava a dedicarsi alla costruzione di imperi e facili fortune con cui alimentare il proprio benessere domestico, esso segnava inevitabilmente l'inizio del proprio declino.

Oggi i principi sono gli stessi, sono i processi ad essere diversi. L'oro non è più la valuta corrente del “regno”; al suo posto, la carta. Oggi la regola è: “Colui che stampa la moneta detta le leggi”, almeno per il momento. Benché non si usi più l'oro, il meccanismo è lo stesso: indurre o obbligare Paesi stranieri, mediante la propria superiorità militare e il controllo sulla stampa di moneta, a produrre e quindi a finanziare il proprio Paese.

Poiché la stampa di cartamoneta altro non è che una contraffazione vera e propria, colui che emette la valuta internazionale può farlo solo in virtù della propria potenza militare, tramite la quale garantisce il controllo sul sistema. Questo magnifico disegno sembra rappresentare il sistema perfetto per garantire una ricchezza perpetua a quel Paese che de facto emette la valuta mondiale. L'unico problema è che un sistema del genere corrompe il carattere del popolo di quella nazione, proprio come quando l'oro era moneta di scambio e lo si otteneva tramite la conquista di altre nazioni. Ciò a sua volta mina ogni incentivo al risparmio e alla produzione, mentre allo stesso tempo incoraggia il debito e un crescente ricorso a politiche di Welfare.

All'interno dei propri confini, gli incentivi e le pressioni ad inflazionare la valuta provengono sia da coloro che beneficiano di vantaggi diretti, sia da quelli che chiedono sovvenzioni, anche a titolo di compensazione per le presunte ingiustizie inflitte da altri. In entrambi i casi il risultato è che si finisce col perdere la responsabilità personale delle proprie azioni.

Quando la carta moneta viene rifiutata, o quando l'oro finisce, la ricchezza e la stabilità politica sono perse. Il Paese dominante passa da una situazione nella quale viveva al di sopra dei propri mezzi a una nella quale è costretto a vivere al di sotto degli stessi, questo sino a quando il sistema economico e politico si adatta alle nuove regole, regole scritte da altri e non più da coloro che prima controllavano la defunta stampa della moneta.





Il Congresso creò nel 1913 il sistema della Federal Reserve. Da allora sino al 1971 il principio di un sistema monetario sano fu continuamente minato ed indebolito. Dal 1913 al 1971, la Federal Reserve trovò molto più semplice espandere l'offerta di moneta per finanziare guerre e manipolare l'economia, con lievi opposizioni da parte del Congresso.

Dopo la fine della II Guerra Mondiale, il dominio del dollaro aumentò considerevolmente. Fummo risparmiati dalla distruzione che colpì tante Nazioni, e le nostre casse si riempirono dell'oro proveniente da tutto il mondo. Ma il mondo non scelse di ritornare al regime del Gold Standard, e i politici ne furono compiaciuti. Stampare moneta per pagare i debiti era sicuramente più popolare che tassare le persone o limitare le spese pubbliche non necessarie. In cambio di benefici di breve termine, gli squilibri furono istituzionalizzati per i decenni a venire.

Nel 1944 gli accordi di Bretton Wood solidificarono la posizione del dollaro come la più importante riserva di valuta, rimpiazzando la sterlina inglese. Vista la nostra potenza politica e militare, e viste le immense riserve d'oro fisico, il pianeta non ci mise tanto ad accettare il dollaro (pareggiato ad 1/35 di oncia d'oro) come valuta mondiale. Si diceva che il dollaro fosse “as good as gold”, sicuro quanto l'oro, e convertibile in ogni banca centrale del mondo a quel tasso. Per i cittadini americani, comunque, l'oro rimaneva per legge illegale da detenere. Questo era il gold-exchange standard, che sin dall'inizio era destinato a breve durata.

Gli Stati Uniti, in seguito, fecero ciò che molti avevano a loro tempo predetto. Stamparono dollari per i quali non esisteva nessuna copertura reale di oro fisico. Il mondo fu contento di accettarli per oltre vent'anni senza problemi, sino alla fine degli anni '60, quando, la Francia e altri Stati chiesero agli USA di onorare la promessa fatta pagando una oncia di oro per ogni 35$. Questo portò a un rapido prosciugamento delle riserve e al conseguente crollo di un mal progettato pseudo-gold-standard.

Tutto finì il 15 Agosto del 1971, quando Nixon chiuse i rubinetti dell'oro e si rifiutò di pagare le rimanenti 280 milioni d'once d'oro. In sostanza, dichiarammo al mondo la nostra insolvenza . Divenne necessario progettare un qualche nuovo sistema monetario allo scopo di riportare la stabilità nei mercati.

Assurdamente si ideò un nuovo sistema che permetteva agli Stati Uniti di stampare cartamoneta, riconosciuta ancora come riserva valutaria mondiale, senza nessun limite o restrizione, nemmeno la pretesa di una qualche convertibilità con l'oro, niente di niente! Benché la nuova situazione fosse ancora più profondamente difettosa della precedente, si aprirono definitivamente le porte a una ulteriore crescita dell'egemonia del dollaro.

Sapendo che il mondo si stava avviando verso un qualcosa di completamente nuovo e rivoluzionario, le elites del mondo monetario, appoggiate fortemente dalle autorità americane, perfezionarono un accordo con l'OPEC in modo da fissare il prezzo del petrolio esclusivamente in dollari per tutte le transazioni mondiali. Questo conferì al dollaro una posizione privilegiata e, in essenza, agganciò il dollaro al petrolio. In cambio, gli Stati Uniti promisero di proteggere gli stati ricchi di petrolio sparsi intorno al Golfo Persico da invasioni o da rivolte interne. Questo accordo contribuì fortemente ad infiammare il movimento islamico radicale che, in quelle regioni, si opponeva all'autorità americana. L'accordo diede inoltre un forza artificiale al dollaro, con incredibili benefici economici e finanziari per gli Stati Uniti. Ci permise di esportare la nostra inflazione monetaria comprando petrolio e altri beni all'estero, con vantaggi crescenti all'aumentare dell'influenza mondiale del dollaro.

Questa situazione post-Bretton Wood era di gran lunga più fragile di quella preesistente tra il 1945 ed il 1971. Benché l'accordo petrolio/dollaro fosse utile, non era certo stabile come il pseudo-Gold Standard; sicuramente lo era molto meno del Gold Standard, in essere alla fine del XIX secolo.

Negli anni '70 il dollaro rischiò di collassare quando il prezzo del petrolio aumentò e l'oro schizzò a 800$ all'oncia. Per salvare il sistema si dovettero portare i tassi al 21%. Le pressioni sul dollaro durante gli anni '70, nonostante i benefici accumulati, fecero venire a galla deficit di bilancio irresponsabili e generarono una grande inflazione monetaria. I mercati non si fecero ingannare dalla idea che potessimo permetterci sia la botte piena che la moglie ubriaca.

Ancora una volta però il dollaro fu salvato, e agli albori degli ani '80 iniziò una ascesa verso quel domino assoluto che dura ancora oggi. Con l'incredibile cooperazione di banche centrali e banche di commercio internazionali, si iniziò ad accettare nuovamente il dollaro come fosse oro.

Il governatore della Fed Alan Greenspan, in diverse occasioni davanti la "House Banking Commitee", rispose alle mie domande circa la sua precedente posizione riguardo l'oro, e in particolare le sue visioni favorevoli al gold standard, affermado che a lui e ad altri banchieri centrali era stata affidata della moneta di carta – i.e. il sistema del dollaro cartaceo – con il compito di trattarla come fosse oro. Ogni volta io sottolineai che il tentativo di raggiungere quell'obbiettivo avrebbe significato andare contro a secoli di storia economica dove la moneta sentiva il bisogno e la necessità di essere un qualcosa di valore reale. Lui, pur in maniera compiaciuta e presuntuosa, mi ha sempre dato ragione.

Negli ultimi anni le banche centrali e parecchie istituzioni finanziarie, entrambe con ampi interessi nel continuare a far funzionare bene il regime del fiat-dollar-standard, non hanno fatto segreto di vendere e prestare grandi quantità di oro, ponendo seri dubbi sulla saggezza di tali operazioni. Non hanno mai ammesso di voler pilotare il prezzo dell'oro, ma è palese come speravano in una diminuzione del prezzo poiché questo avrebbe comportato una maggiore fiducia nel mercato: apparentemente erano riusciti a trasformare la carta in oro.

Un prezzo crescente dell'oro ha sempre voluto significare una diminuzione della fiducia nella moneta cartacea. Lo sforzo di abbattere il prezzo dell'oro, simile a quello compiuto per tutti gli anni '60, mirava a convincere il mondo che il dollaro fosse forte e sicuro quanto l'oro. Durante la Grande Depressione, una delle prime mosse di Roosevelt fu quella di sopprimere il libero mercato del prezzo dell'oro, importante indicatore di un sistema monetario che non funziona come dovrebbe, rendendo illegale il possesso d'oro per i cittadini americani. Alla fine la legge economica rese inutile lo sforzo, come accadde negli anni '70 quando il Tesoro e il Fmi cercarono di fissare il prezzo dell'oro vendendone tonnellate a prezzi stracciati per smorzare l'entusiasmo di quelli che cercavano un paradiso sicuro dal crollo del dollaro dopo che il possesso dell'oro fu nuovamente legalizzato.

Ancora una volta lo sforzo di ingannare i mercati sul vero valore del dollaro per tutto il ventennio tra il 1980 ed il 2000 risultò vano. Negli ultimi 5 anni il dollaro si è svalutato rispetto all'oro di più del 50%. È impossibile ingannare tutte le persone nello stesso tempo, anche con tutto il potere che possiede la Federal Reserve.

Nonostante le inadeguatezze del sistema fiat money, il dollaro continuò a prosperare. I risultati sembravano positivi, ma i grandi squilibri macroeconomici interni continuarono a crescere. E come al solito, a Washington i politici americani cercano di risolvere i problemi dandosi da fare su un lavoro di facciata piuttosto che cercando di capire e affrontare il problema reale: una politica monetaria difettosa. Protezionismo, tassi di cambio fissi, sanzioni motivate politicamente, sussidi alle imprese, gestione del commercio internazionale, controllo dei prezzi, controllo dei tassi di interesse e dei salari, sentimenti ipernazionalisti, uso della forza, addirittura guerra, tutte facili soluzioni per nascondere il problema reale, per nascondere i problemi creati da un sistema monetario ed economico pericolante e difettoso.

Nel breve termine, chi emette moneta non coperta da beni reali può ottenere grandi benefici economici. Nel lungo termine può mettere in pericolo l'intero Paese. Nel nostro caso, gli Stati Uniti. Fino a quando i Paesi stranieri accetteranno i nostri dollari in cambio di beni e merci reali, noi ne trarremmo grande vantaggio. Questa è una fortuna che molti in Parlamento non riescono a comprendere, continuando a sanzionare la Cina per il suo forte segno positivo nella bilancia commerciale verso gli USA. Al contempo la perdita di capacità produttiva tende a spostarsi oltre oceano e ci rende più dipendenti e meno autosufficienti. I Paesi stranieri, grazie agli alti tassi di risparmio, accumulano riserve di dollari, e non mancano di restituirceli gentilmente a bassi tassi di interesse per finanziare in nostri eccessivi consumi.

Sembra un gran bel affare per tutti quanti, ma verrà il giorno in cui il dollaro – a causa del suo deprezzamento – verrà accettato un po' meno felicemente dagli Stati stranieri, o verrà addirittura rifiutato. Questo creerebbe una nuova situazione, e la danze rinizierebbero nuovamente, ma con un forte scotto da pagare per aver vissuto così a lungo aldilà dei nostri mezzi e della nostra capacità produttiva. E l'inizio di questo processo è già iniziato, il dollaro sta iniziando a vacillare, ed il peggio deve ancora venire.

L'accordo negli anni '70 con l'OPEC, riguardante la determinazione del prezzo del petrolio esclusivamente in dollari, diede una incredibile forza, benché artificiale, al dollaro stesso, che divenne la più importante valuta mondiale. Questa situazione ha creato una forte domanda per la valuta statunitense, domanda che ha assorbito gli enormi quantitativi di moneta immessi dalla Fed ogni anno. Nell'ultimo anno la Massa Monetaria definita come M3 è aumentata di oltre 700 miliardi di dollari.

Questa artificiale domanda di moneta, insieme alla nostra strapotenza militare, ci permette di occupare una posizione di controllo sul pianeta intero, nonostante i bassi tassi di produttività del lavoro e di risparmio, e senza limiti sui consumi e sull'indebitamento. Il problema è che questa situazione non può durare per sempre.

L'inflazione dei prezzi sta alzando la sua brutta faccia; la bolla speculativa – generata dal credito (troppo) facile è scoppiata. La bolla immobiliare creata allo stesso modo si sta sgonfiando. Il prezzo dell'oro è raddoppiato e la spesa federale è fuori controllo con nessuna volontà politica di controllarla. Il deficit commerciale dello scorso anno si aggirava oltre i 728 bilioni di dollari. Una guerra da 2 trilioni di $ continua il suo corso, e sono stati discussi piani per espandere la guerra anche all'Iran e alla Siria. L'unica forza in grado di porre un limite a tutto questo potrebbe arrivare da un rifiuto globale del dollaro. In tal caso potrebbero ripresentarsi le condizioni del biennio '79-'80. Si farà di tutto per permettere che non succeda e per proteggere il dollaro. Ci sono forti interessi condivisi tra chi emette e chi possiede dollari, forti abbastanza da mantenere ancora lo status quo.

Greenspan, nel suo pirmo discorso dopo avere lasciato la Fed, ha dichiarato che gli alti prezzi dell'oro derivano dalla situazione politica internazionale, dal terrorismo, e non da cause monetarie o dalla montagna di dollari creati durante il suo mandato. L'oro deve essere screditato, mentre la reputazione del dollaro deve essere sostenuta. Anche quando il dollaro arriverà ad essere messo sotto serio attacco dalle forze del mercato, le banche centrali e il FMI faranno di tutto per far assorbire i dollari dal sistema così da garantire la stabilità. Alla fine i loro tentativi falliranno.

L'agganciamento del dollaro al petrolio sarà difeso per permettere al dollaro di perpetuarsi come valuta principale. Ogni attacco a questa relazione sarà in futuro come in passato combattuta con la forza.



Nel novembre del 2000 Saddam Hussein chiese in cambio del suo petrolio Euro invece che Dollari. La sua arroganza venne percepita come una grande minaccia per il dollaro; militarmente l'Iraq non ha mai impensierito gli Stati Uniti. Alla prima riunione con la neoeletta amministrazione nel 2001, secondo quanto dice il ministro del tesoro Paul O'Neill, l'argomento principale fu come sbarazzarsi di Saddam Hussein, benché non fosse chiaro che tipo di minaccia rappresentasse. La gran preoccupazione sul caso Saddam sorprese e scioccò O'Neill.

Tutti ormai sanno che l'immediata reazione dell'amministrazione agli attacchi del 9/11 si estrinsecò nel come collegare Saddam Hussein a questi attacchi, per giustificare un'invasione o per ribaltare il suo governo. Nonostante non ci fosse nessun esplicito collegamento al 9/11, o evidenza di armi di distruzione di massa, il supporto della Nazione per giustificare la deposizione di Saddam, così come quello del parlamento, fu ottenuto attraverso distorsioni o false rappresentazioni dei fatti.

Non ci fu alcuna denuncia pubblica della correlazione tra la rimozione di Saddam e l'attacco all'integrità del dollaro come valuta mondiale. Alcuni credono che questa sia la vera ragione a capo della nostra ossessione sull'Iraq. Io dubito che fosse la sola ragione, ma credo che abbia avuto un'importanza significativa sulla decisione finale. Poco dopo la vittoria militare, tutte le esportazioni petrolifere irachene tornarono ad essere scambiate in dollari. L'Euro fu abbandonato.

Nel 2001, l'ambasciatore venezuelano in Russia fece trapelare che il suo Paese era intenzionato a richiedere Euro per le esportazioni di petrolio. Dopo un anno ci fu un tentativo di golpe ai danni di Chavez, con l'assistenza dell'CIA.

Il dollaro arrestò la propria caduta proprio grazie a questi tentativi di salvataggio.

Questi eventi sono stati fondamentali per il mantenimento del dollaro come valuta mondiale.

Oggi, un nuovo evento minaccia l'integrità del sistema del petrodollaro. L'Iran, uno dei paesi membri dell'“Asse del male” ha annunciato di voler creare nel marzo di quest'anno una Borsa dove negoziare il petrolio. E indovinate un po', il petrolio verrà scambiato in Euro e non in Dollari.

Molti cittadini americani hanno dimenticato come le nostre politiche abbiano sempre sistematicamente e gratuitamente irritato il popolo Iraniano. Nel 1953 la CIA contribuì a rovesciare un presidente eletto democraticamente, Mohammed Mossadeqh, per fare posto ad uno più legato agli US, l'autoritario Shah. Gli iraniani erano ancora irritati da questo fatto quando si verificarono gli eposidi del 1979. La nostra alleanza con Saddam non migliorò la questione, come non migliorò le nostre relazioni con Saddam Hussein. L'inserimento dell'Iran nella lista dei Paesi dell'Asse del Male non contribuì certamente ai rapporti diplomatici tra i due Paesi. I recenti scontri sul nucleare, nonostante in tutta la zona ci siano Paesi con armamenti nucleari, non sembra fermare i provocatori dell'Iran. Tutto ciò viene visto da molti Musulmani come una guerra contro l'Islam. Non può sorprendere quindi che l'Iran decida di danneggiare l'America attraverso il dollaro. L'Iran, così come l'Iraq, non è assolutamente in grado di attaccarci fisicamente. Nonostante questo fatto sia abbastanza ovvio, non ha fermato l'amministrazione nel dipingere Saddam Hussein come una sorta di Hitler moderno pronto a conquistare il mondo intero. E adesso, l'Iran, specialmente da quando ha iniziato a progettare la vendita di petrolio in euro, è entrato nella lista nera, non diversamente da quanto successe prima dell'invasione irachena.

Tutto ciò non significa che il mantenimento della supremazia del dollaro fosse l'unico fattore che influenzò e determinò la seconda guerra del golfo, né sta influenzando e determinando da sola gli agitati rapporti tra US e Iran, oggi. Nonostante le ragioni per fare una guerra siano sempre molto complesse, sappiamo per certo che le ragioni date prima dell'inizio della guerra irachena, circa la presenza di armi di distruzione di massa, e le connessioni con i fatti dell'undici settembre, erano false. La rilevanza della questione-dollaro è ovvia, ma ciò non deve sminuire il ruolo del progetto che, qualche anno fa, è stato fatto dai neo-conservatori per ricostruire la geopolitica del medioriente. L'influenza Israeliana, così come quella dei Sionisti, ha giocato un ruolo determinante in questa guerra. La protezione delle “nostre” forniture di petrolio ha influenzato per decenni la politica estera americana, almeno per quanto riguarda il medioriente.

Ma la verità è che non è più possibile pagare i costi dell'interventismo aggressivo come si faceva un tempo, con più tasse, più risparmio, e più lavoro da parte dei cittadini americani. Buona parte delle spese della prima guerra del golfo furono sopportate da alcuni dei nostri alleati. Oggi non è più così. Oggi, più che mai, è al dollaro stesso, alla sua egemonia come moneta mondiale, che si richiede di finanziare l'enorme debito pubblico. Questa guerra da 2 trilioni di dollari deve essere in un modo o nell'altro pagata. E sarà proprio l'egemonia del dollaro a fornire i mezzi per saldare questo debito.

Gran parte della gente non è consapevole di essere vittima di questo fardello. La licenza di creare montagne di moneta permette alle autorità di coprire il costo della guerra con l'inflazione dei prezzi. I cittadini americani, così come una parte di quelli cinesi, giapponesi e di altri Stati, subiscono l'inflazione dei prezzi, che rappresenta proprio la “tassa” che ripaga il costo delle nostre avventure militari. Questo accadrà sino a quando la frode verrà scoperta, e i produttori esteri esiteranno ad accettare dollari e detenerli a lungo come pagamento dei beni scambiati. È stato fatto tutto il possibile per nascondere accuratamente questo furto, per fare in modo che non sia visibile alle masse che ne vengono danneggiate. Se i mercati petroliferi sostituiscono l'euro al dollaro, non sarà più possibile stampare moneta senza limiti.

importare beni reali esportando dollari deprezzati rappresenta un vantaggio incredibile. I paesi esportatori sono diventati dipendenti dai nostri acquisti, indispensabili per la loro crescita. Questa dipendenza li fa entrare a far parte del gioco, li rende nostri alleati nella prosecuzione della frode. Se questo sistema funzionasse nel lungo periodo, gli americani potrebbero pure smettere di lavorare. Anche noi potremo quindi goderci “panem et circenses” proprio come facevano i romani prima che il loro oro finì e l'impossibilità di conquistare e derubare altre nazioni portò alla caduta dell'impero.

Salvo cambiamenti, la stessa cosa accadrà anche all'America. Benché non occupiamo direttamente terre straniere per spillare oro, abbiamo sparso truppe in giro per 130 stati del mondo. Il grande sforzo di aumentare il nostro potere nelle zone petrolifere mediorientali non è una coincidenza. A differenza del passato, però, non dichiariamo il possesso diretto delle risorse naturali, semplicemente continuiamo a convincerci che possiamo comprare quello che vogliamo pagando con la nostra cartamoneta e i paesi che si oppongono a questo processo lo fanno a loro rischio e pericolo.

Come già detto il Parlamento ha inserito nella sua lista nera anche l'Iran, proprio come fece con l'Iraq. Si parla di attaccare l'Iran economicamente e militarmente, se sarà necessario. Le ragioni sono tutte costruite falsamente, proprio come quelle date per la sfortunata e costosa guerra irachena.

Tutto il nostro sistema economico vive in funzione dell'attuale accordo monetario; ciò significa che è cruciale continuare a riciclare dollari. Al momento, prendiamo a prestito più di 700 bilioni di dollari all'anno dai nostri cari benefattori, che lavorano sodo e ci danno beni in cambio di carta. Prendiamo a prestito tutti i soldi che ci servono per rendere più solido il nostro impero. La nostra strapotenza militare è diventata la unica contropartita reale alla carta dei nostri dollari. Non ci sono Paesi al mondo in grado di sfidare la nostra superiorità militare, non possono fare altro che accettare la banconota che noi dichiariamo di essere l'“oro”del XXI secolo. Ecco perché quei paesi che provano a sfidare questo sistema – come l'Iraq, l'Iran e il Venezuela – diventano nostri obbiettivi per un cambio di regime.

Ironicamente, la superiorità del dollaro dipende dalla forza militare, e la forza militare deriva dall'egemonia del dollaro. Sino a quando le economie estere prosciugheranno tutti i nostri dollari in cambio di beni reali e saranno contente di finanziare i nostri pazzi consumi e le nostre avventure militariste, lo status quo continuerà, senza riguardo a quanto grande si farà il debito estero e il deficit di bilancio.

Sia il popolo Americano sia il parlamento sono stati facilmente convinti sulle istanze di guerra preventiva mosse dai falchi americani. Il numero di persone che ha iniziato ad obbiettare l'intervento è cresciuto solo dopo che il costo umano ed economico della guerra si è fatto impressionante.

La cosa strana è che ora che il fallimento in Iraq è apparente alla maggior parte dell'opinione pubblica, il parlamento e i cittadini americani iniziano a vedere di buon grado la chiamata ad un'inutile e pericoloso confronto con l'Iran.

Ma ancora, il nostro fallimento nel trovare Osama Bin Laden e distruggere la sua rete terroristica non ci ha dissuaso dall'invadere l'Iraq con una guerra totalmente irrelata agli eventi del 9/11.

Il nostro comportamento e la nostra volontà di impartire una lezione a Saddam Hussein, derivano dalla necessità di assicurare l'utilizzo del dollaro come valuta per gli scambi petroliferi.

E puntualmente si ripresenta il bisogno urgente di sanzioni e minacce verso l'Iran proprio nel momento in cui quel Paese ha scelto di effettuare tutte gli scambi di petrolio in euro.

L'uso della forza per indurre le persone ad accettare una moneta che non ha nessuna contropartita reale può funzionare solo nel breve termine. Ma ciò conduce a una dislocazione produttiva dell'economia, sia nazionale che internazionale, e ha sempre conseguenze economiche sgradevoli.

Abbiamo appurato che un commercio onesto e corretto necessita dello scambio tra beni che abbiano un valore reale; e questa legge economica non può essere disattesa. Il caos che seguiterà dagli esperimenti monetari condotti per 35 anni in un regime di “fiat money” su scala globale, comporterà inevitabilmente la ricomparsa di una moneta dal valore reale. Noi sappiamo che quel giorno si sta avvicinando, il giorno in cui i produttori di petrolio pretenderanno oro invece che dollari. Prima arriverà quel giorno, meno dolenti saranno le sue conseguenze.

giovedì 20 dicembre 2007

[satira, ma non troppo] Esclusivo: ecco i finanziatori White supremacists di Ron Paul!

I paparazzi hanno stanato due finanziatori di Ron Paul, indiscutibilmente ariani, anche se di bassa statura. Gli attivisti razzisti hanno appena consegnato il denaro all'ideatore del Tea Party, Trevor Lyman, colto di sorpresa dall'obiettivo mentre si affretta a chiudere la porta. I due white supremacists si allontanano imbarazzati e visibilmente senza ricevuta. [Associated Press]



Più il successo di Ron Paul cresce, più i media gli stringono il freno con i mezzucci che hanno. Meschini, ma sempre efficaci su chi non ha troppo tempo per verificare le notizie. Così la Associated Press (un'equivalente americano dell'Ansa) ha rilanciato la storia, vecchia di due mesi, di un attivista razzista che ha versato 500 dollari a Ron Paul. Il motivo per rinverdire la polemica consiste nel fatto che Paul quei soldi non li ha mai restituiti. Con tempismo, Fox tv (o Faux, come la chiamano i paulisti) ha chiesto stasera in diretta a Paul di rendere ragione del fatto. Lui ha risposto che non si possono controllare singolarmente le vicende personali di oltre centotrentamila donatori e che se uno con idee sbagliate, diverse dalle sue, gli dà dei soldi, vorrà dire che aiuta una battaglia in cui non crede, e che per noi è buona, e tanto meglio così. E poi, cinquecento dollari su 18 milioni!


Cosi la politica sulle tv che fanno milioni di ascolto.



Per rifarci gli occhi con un po' di umana freschezza, ecco la vera storia della foto sopra, scattata in New Hampshire. Qui, con l'avvicinarsi delle primarie l'8 Gennaio, è cominciata l'operazione di sbarco dei rinforzi da ogni parte degli states. Stanno convergendo soprattutto i giovani, si spera alla fine saranno almeno mille. Alla testa delle truppe c'è Vijay Boyapati 29enne ingegnere che ha lasciato Google per dedicarsi alla campagna elettorale. Vijay è cittadino americano da un anno e voterà per la prima volta. Ha preso alloggio in New Hampshire insieme a Trevor Lyman ed altri volontari. E' qui che si svolge la storia della foto, pochi giorni fa. Due bambini del vicinato hanno chiesto ai genitori se potevano dare la loro paghetta a Ron Paul, e ottenuto il permesso, si sono precipitati di primo (?) mattino alla movimentata casa dei ragazzi paulisti. Vijay, che racconta l'episodio, era già fuori con gli altri, e i due biondi finanziatori hanno suonato finchè non gli ha aperto Lyman, nelle condizioni che vediamo.




Vijay Boyapati davanti un panorama urbano che ricorda più casa nostra che il New Hampshire.




Aggiornamento.

Vijay Boyapati comunica la prossima data di maxi fundraising dopo il 5 Novembre e il Tea Party: sarà il 21 Gennaio, giorno di festa nazionale in memoria di Martin Luther King. Il titolo è Free at last 2008, da una frase di Luther King. (...a proposito di razzismo. E a proposito di primarie! In quella data si sarà già votato in quattro stati...)


Aggiornamento 2.

Ieri in New Hampshire Vijay Boyapati ha incontrato Ron Paul.
La prima volta fu quest'estate durante la visita trionfale di Paul ai dipendenti di Google. Ci è grato pubblicare la foto sotto per due motivi:
1) imperversano notizie fuorvianti e in piena malafede per cui Ron sarebbe colluso con i "white supremacists".
2) cogliamo in questo scatto la risposta all'urgenza di un passaggio generazionale. Forse azzardiamo, ma Vijay ci pare un carisma politico in progress.



martedì 18 dicembre 2007

Ron Paul non crede alla teoria dell'evoluzione.

In questi giorni e proprio in queste ore, la campagna elettorale repubblicana è percorsa da sterili dibattiti su fede e politica, posti in maniera oziosa e non essenziale. Si evita di approfondire se via sia una consequenzialità morale e di scelte nei candidati, a causa delle loro culture di riferimento, siano esse di matrice religiosa o altra, e si preferisce discutere se “un mormone” può essere votato, se un “battista del sud” prende i voti del nord, se sia giusto definire l'America “una nazione sotto Dio”. Gli atei si arrabbiano di questa definizione, ma dovrebbero arrabbiarsi di più perché “sotto Dio” sedicenti cristiani e non, fanno qualsiasi cosa, incuranti del sotto e del sopra. Si guarda -con giusto scandalo a dire il vero- lo spot di oggi in cui Huckabee fa risaltare una grossa croce alle sue spalle. Lo fa in maniera sofisticata e subliminare, ma la fa risaltare : sarà l'argomento dei “porta a porta” con i Vespa locali a fregarsi le mani, i salotti pieni di pubblicitari, teologi e psicologi. Di questi candidati cristianisti nessuno si preoccupa di capire perché siano a favore della pena di morte e di guerre immotivate a beneficio delle tasche di pochi intimi della casta locale e mondiale. Nessun grande opinionista si preoccupa di chiedere ragione al mormone Romney, quello che vuole l'America under God e chiede le preghiere di tutti, del perchè è a favore dell'aborto, poi no, poi forse. E delle guerre, naturalmente, senza forse. Tutti cristiani e tutti a difendere la tortura sistematica negli Usa, che da loro viene chiamata ipocritamente “interrogatorio aggressivo”.
Allora nel mare dei discorsi pseudoetici e inutili, tiriamo fuori la nostra risposta inessenziale di Ron Paul. Più che altro è stata inessenziale la domanda, perchè, come ha sottolineato Paul stesso, decidere di teorie scientifiche non è compito di un presidente degli Stati Uniti. Durante un incontro pubblico, alla richiesta del suo pensiero sull'evoluzionismo ha risposto: “Penso che sia solo una teoria, la teoria dell'evoluzione, e io non la accetto, voi lo sapete, in quanto teoria”. Utile comunque a delineare la sua figura intellettuale. Incurante delle mode scientifiche, più mode che scientifiche. Sempre senza timore di sfidare i luoghi comuni non dimostrati, siano essi l'atomica dell'Iran, le armi di Saddam o l'evoluzionismo.


Breve estratto video con la risposta di Ron Paul sull'evoluzionismo.

lunedì 17 dicembre 2007

Ron Paul numeri veri.


Un bravo grassroots ha montato questo video con diverse fonti televisive odierne che raccontano l'esito del Tea Party. (Ci sono anche le nonnine col camperone a Boston sotto la neve!!)
Qualche analista faccia di bronzo comincia a dire che i sondaggi potrebbero essere anche sbagliati.
Il network nazionale Abc e il prestigioso Washington Post la settimana scorsa hanno commissionato insieme un sondaggio avente per campione...293 ex-votanti repubblicani. I grandi media fanno notizia con poco.
Ieri, Ron Paul per arrivare in un solo giorno al record assoluto di 6 milioni di dollari ha ricevuto denaro anche da 24.940 cittadini che hanno deciso di aiutarlo per la prima volta. Con loro si arriva a 118.000 finanziatori unici (non contando chi ha versato più volte) dal primo di Ottobre. Questi sono sondaggi. I piccoli media fanno notizia quando c'è.


Aggiornamento.
Cafferty su Cnn oggi si è chiesto: "Come mai Paul riesce a raccogliere tanti soldi e non cresce nei sondaggi?" Ecco il brano con qualche email di risposta del pubblico.
Visto il prestigio di Cafferty la discussione si amplierà, sperabilmente, nei prossimi giorni.



Ron Paul: è Carla Bruni la nuova fiamma di Sarkozy.

Ron Paul sulla nuova coppia: "affare interno francese, Bush non deve intervenire".



Sì, è Carla Bruni la nuova fiamma di Sarkozy.
E' il titolo di apertura della sezione esteri su Repubblica, Corriere della Sera e la Stampa. Noi non vogliamo restare indietro e crediamo sia giusto contribuire all'informazione libera e democratica parlandone anche qui.
A causa del fuso orario Ron Paul non ha ancora affrontato il tema, ma abbiamo voluto anticiparlo, con un titolo neutro, non-interventista. Cordiali rapporti con la Francia, ma nessuna interferenza nella vita privata del suo presidente. Siamo sicuri che a Ron piacerebbe.
In ogni caso dicono che mischiare i nomi giusti nel titolo del post serve. Stiamo a vedere.

No comment ...









Totale raccolto online per il TeaParty07, 16 dicembre 2007





Totale TeaParty07 (linea azzurra) vs. 5 novembre (linea nera)




Totale parziale del quarto trimestre (oltrepassati i 18 milioni!!!!!).

In nero, l´andamento reale. In blu, la media. In rosso, la media per arrivare a 12 milioni



Per una migliore lettura dei grafici, consiglio di andare su http://www.ronpaulgraphs.com/ e cliccare sul grafico che vi interessa.

Buon divertimento ...

Francesco




sabato 15 dicembre 2007

16 Dicembre, Ron Paul Tea Party. Il popolo americano batte un colpo.


Il video più visto tra quelli dedicati al Tea Party. Un classico paulista.


E' ormai mezzanotte tra Sabato e Domenica, ora italiana, mentre scrivo e i grafici per le donazioni cominciano ad impennarsi. Probabilmente a causa di qualche americano in oriente, che ha deciso di accendere la miccia del money-bomb all'ora locale, fa notare un lancio di agenzia.
Riassumiamo la situazione, soprattutto per i nuovi lettori italiani che stanno arrivando.
Oggi i supporters di Ron Paul tentano di battere il loro record di raccolta fondi in un solo giorno.
Tutto lascia prevedere che lo batteranno ampiamente in una spettacolare cascata di denaro nel contatore ufficiale che registra in tempo reale i versamenti on-line.
Perché in così tanti accorrono a regalare soldi ad un politico?
Grazie alla sua figura di uomo integro e con il suo programma unico -perché unico a cogliere tante verità e tante urgenze che gli altri fanno finta di non vedere- Ron Paul in sei mesi ha raccolto un appoggio popolare entusiasta sempre più grande. Inizialmente su internet: una quantità di forum di discussione e di siti letteralmente incalcolabile dedicati a lui. Youtube, con sei milioni di contatti ai video, tutti produzioni indipendenti dalla campagna ufficiale. I Meet-up, i gruppi virtuali di appoggio in ogni angolo degli States, dal web hanno tracimato nella vita reale. Novantamila membri in oltre mille città.
Ad essi vanno aggiunte le migliaia di persone “non internettizzate” che stanno bussando porta a porta, quelle che stanno scrivendo -a mano! e anche dall'Italia- un milione di lettere elettorali rivolte ai cittadini dello Iowa e del New Hampshire, i primi stati al voto. E in ciascuno dei due stanno calando da fuori mille paulisti di rinforzo: studenti che passeranno le vacanze di Natale in Iowa, lavoratori che consumeranno ferie in New Hampshire. Nello stato del “live free or die” a capitanare i pacifici invasori è un giovane ingegnere che si è licenziato da Google a Seattle e che alla testa delle truppe pauliste è giunto in New Hampshire per la prima volta.
I media hanno ignorato il fenomeno finchè hanno potuto. Ma una prima grande irreversibile crepa si è aperta il 5 Novembre, quando il tentativo spontaneo di effettuare la più grande raccolta fondi in un solo giorno è andato a buon fine: 4,3 milioni di dollari, record repubblicano e record assoluto on-line. 38.000 donatori, per oltre 100 dollari a testa. Se c'è ancora qualche scettico che dice “in fondo gli americani sono quasi 300 milioni...” provi a vedere gli altri big, Clinton, Giuliani, Obama: nessuno riesce a fare una cosa del genere, i loro fondi non hanno questa provenienza di massa. Invece Ron Paul ha avuto oltre 135.000 donazioni individuali dal primo ottobre ad oggi.

"La gente di Ron Paul è ovunque, ovunque in tutto il paese" ammetteva Giuliani in un video memorabile di qualche giorno fa.
Persone di di ogni tipo seguono Ron Paul. Urbani e rurali, old conservative e rapper neri, pacifisti radicali e fans del libero porto d'armi, cristiani impegnati e gente in ricerca, tecnologici e spericolate nonnette in viaggio, intellettuali ebrei e mussulmani. Chi non ha mai votato e si iscrive alle liste per la prima volta. Tante famiglie coi bambini. E tantissimi giovani e universitari. Molti tra loro, ma anche adulti, confessano: sì, il doctor Paul “ha curato la mia apatia”, come dice una delle frasi diventate più popolari nell'avventura dei grassroots.
Ci siamo, è la giornata di rievocazione del Boston Tea Party. La riscrittura paulista di questo giorno è in atto. Anche la politica americana Lunedì troverà riscritta la sua mappa.



"Land of the free", un altro classico del Tea Party. L'autore non è un americano, ma un olandese di 25 anni.

Visto da sinistra: Ron Paul merita attenzione.


Ancora voci dalla sinistra pacifista che invitano a superare vecchi steccati e ad appoggiare Ron Paul.
Grazie alla traduzione dell'entusiasta gestore di Radio for Peace di Bologna, Mauri aka Melektro, pubblichiamo la riflessione che segue.

La campagna elettorale di Ron Paul merita la nostra attenzione

Di Joshua Frank - 13 Dicembre 2007



La sinistra del movimento pacifista è immersa in alcune problematiche molto gravi, pricipalmente la nostra incapacità di riconoscere che il sentimento pacifista negli Stati Uniti sta risuonando molto al di là dei confini della cosiddetta "sinistra”.
Non possiamo tirarci indietro e analizzare i fallimenti del movimento pacifista senza scrutare in dettaglio la campagna elettorale di John Kerry nel 2004. Essenzialmente, penso che la maggioranza della sinistra abbia commesso un errore molto grande su questo argomento non opponendosi ai Democratici; in quella occasione il movimento si ritrovò a sostenere una posizione che era favorevole alla guerra non opponendosi al Senatore Kerry, il quale promise di continuare l'occupazione dell'Irak. Non venne esercitata alcuna pressione su Kerry affinché modificasse la sua posizione sulla guerra. Non ci fu alcuna protesta ravvicinata e persistente nel corso della campagna elettorale. Nessuna contestazione nei confronti della sua retorica inconsistente e contradditoria sulla necessità di inviare un maggior numero di soldati sul campo di battaglia. Quel silenzio durante la stagione elettorale non è altro che un segno di complicità. Quindi diciamolo ad alta voce.
Malgrado le sue buone intenzioni, anche Dennis Kucinich venne a mancare quattro anni fa quando abbandonò la sua piattaforma elettorale contro la guerra per sostenere la candidatura favorevole alla guerra di Kerry. Non c'è motivo di credere che il buon Dennis non ripeterà la stessa cosa quest'anno se sarà Hillary ad essere la candidata dei Democratici. Non è altro che politica di partito che prevale sulle vere questioni che contano. Putroppo Kucinich nel 2004 non era un'attivista ma una pedina nel gioco del Partito Democratico. E il movimento pacifista, o almeno coloro che sostenevano le sue posizioni, sentirono correre lungo la schiena pericolosi tremiti per molti mesi a venire. Kucinich ha partecipato alle elezioni nello stato dello Iowa nel corso degli ultimi nove anni e il sostegno di cui gode raggiunge a mala pena l'1% del voto. Quindi che cosa se ne deduce?
La reazione antagonista alla guerra in Irak in questo paese è molto più grande del fan club di Kucinich, tuttavia non esiste un movimento concreto, che sia visibile e veramente in "movimento", per porre fine alla guerra. In gran parte tutto questo è colpa nostra poichè non siamo disposti a stabilire alcun contatto con persone che si oppongono alla guerra attraverso le linee politiche. Un movimento non si muoverà mai in avanti se è dominato da arcaiche fazioni settarie o se si caratterizza per l'aderenza inflessibile a filosofie politiche trincerate. Dobbiamo sormontare la nostra riluttanza a collaborare e organizzarci collettivamente.
Esempio calzante in questo caso è il candidato pacifista più visibile e più entusiastico nel paese, che tendiamo costantemente ad ignorare: il deputato Ron Paul. Sia che siamo d'accordo o sia che siamo in disaccordo con la soluzione libertaria proposta da Paul ad ogni problema, non possiamo trascurare il fatto che la sua campagna elettorale è esplosa a causa di una vasta coalizione di persone che si oppone alla "guerra al terrore". Paul ha sviluppato una campagna elettorale realistica, il cui obiettivo è di andare oltre le primarie del partito Repubblicano e di arrivare fino all'elezione generale del prossimo anno. Non possiamo permettere che Paul si trasformi nel Kucinich del 2004. Più numerose sono le voci pacifiste indipendenti che vediamo confrontarsi con la macchina della guerra e migliore è la situazione nella quale saremo noi tutti. E Paul ha milioni di dollari in cassa per spingere in avanti un ordine del giorno pacifista.
Tutto questo non ha a che fare con il deputato Paul come individuo in sé, ma col suo seguito di base. Sta provocando l'entusiasmo di molti nuovi venuti nel movimento e questo deve essere accolto favorevolmente. Certamente non condividiamo le stesse opinioni con tutti coloro che si sono uniti alla sua campagna, ma sulla questione della guerra in Irak siamo tutti d'accordo. Uno non deve essere un membro della sinistra per opporsi all'impero.
Essendo un movimento che presumibilmente si è sviluppato a seguito delle proteste di Seattle contro l'Organizzazione Mondiale del Commercio [WTO], il quale era un'incredibilmente variegata coalizione di interessi (lavoro, ambiente, protezionismo), chiunque penserebbe che la sinistra si porrebbe in prima linea nel richiedere la costituzione di una simile alleanza ancora oggi.
Sia che siamo contadini bevitori di birra del Tennessee o hippy che fumano marijuana dell'Oregon, dobbiamo riunirci tutti insieme. E il lavorare per tenere lontano il movimento da un qualunque sostegno ad un candidato favorevole alla guerra come Hillary Clinton è un'attività importante. Un'attività che non dovremmo lasciare andare nel corso dei prossimi 11 mesi.
La richiesta dell'on.Paul di porre fine alla guerra deve essere sostenuta. Abbiamo bisogno di far risaltare al massimo la questione della guerra in modo che i media e i maggiori candidati di partito non possano ignorarla. C'è molto lavoro che deve essere fatto e non possiamo rimanercene incatenati a vecchie logiche se vogliamo avere successo.
Porre fine alla guerra in Irak richiederà una pressione notevole esercitata da tutti i lati dello spettro politico, dai veterani conservatori fino ai peacenik radicali: abbracciamo questa nuova realtà. Il movimento pacifista si estende ben al di là della sinistra, in effetti è tanto più grande che è possibile che ci ritroveremo alla “mercè” di una reale resistenza di base anziché essere in prima linea. E se questo significa far frenare rumorosamente questa guerra orrenda, consideratemi pure parte di questa nuova realtà.

venerdì 14 dicembre 2007

il Ron Paul Blimp è in cielo!

Nel pomeriggio, ora italiana, il blimp si è alzato in volo. Non è ancora la cerimonia ufficiale, come si capisce da queste immagini "rubate" e c'è stato qualche giorno di ritardo. In realtà con una velocità che ha stupito tutti, è stato allestito con le enormi tele pubblicitarie laterali. Il dirigibile, ricordiamo, è lungo circa 70 metri. Sulla costa nord orientale il tempo non è buono, forse ci sarà neve a Boston. Pare che il blimp non arriverà quindi nella città del Tea Party, comunque da oggi vola sulle teste di milioni di elettori americani.

Tutto lascia credere che il 16 Dicembre costituirà l'irruzione definitiva di Ron Paul sul proscenio della politica americana. I sondaggi "ufficiali" collassano e cominciano a dare Paul a due cifre, con la "classifica corta", dove nessuno è quasi mai dato in fuga molto oltre il 20%. Il Washington Post con la Abc senza timore del ridicolo, si arrocca a risultati...tradizionali: Paul è al 3%. Come si ottiene un dato così? Semplice: con un campione di ben 293 probabili elettori repubblicani su tutto il territorio americano!

Il disorientamento degli altri candidati è palese: Huckabee, il diversivo lanciato dai media che va così bene nei sondaggi, è senza soldi, oltre che senza volontari, come abbiamo raccontato. Chi lo aiuterà? Chi lo pagherà? Giuliani trasuda depressione: infatti i neocons, quelli che possono, bussano a casa Clinton. Romney getta in campagna i suoi milioni, beato lui, e si gonfia la chioma per i fotografi. L'unico a parlare dell'impoverimento della classe media, della perdita del lavoro in America, della follia delle guerre, della Cina che sostiene (fino a quando?) il peso del debito Usa è Ron Paul. Fino a quando gli altri si trastulleranno parlando di mormoni, islamofascismo, letteralità della bibbia, amanti in nota spese (al Comune di New York) e giardinieri in nero a casa dei politici?

Forse fino a Lunedì. C'è un tempo in cui la realtà ritorna.

Ron Paul & Bernanke sul Sole 24 Ore


Riportiamo il primo articolo italiano che descrive con serietà le posizioni politico-economiche di Ron Paul.



Il presidente della Banca Centrale Bernanke (a destra), il suo predecessore Greenspan e il debito pubblico che cresce.



Il Sole 24 Ore - 9 Dicembre 2007

Ron Paul, il candidato che vuole abolire la Fed


di Riccardo Sorrentino

Attento, Bernanke... C'è una legge per abolire la Federal Reserve che giace al Congresso, e non l'ha presentata un deputato qualunque. Ron Paul non ha solo una lunga storia personale alle spalle, ma è anche un candidato alle primarie per le presidenziali Usa con il partito repubblicano; e oggi è primo nei sondaggi tra i delegati - gli straw polls - nei caucuses di Alabama, California, Georgia, Maryland, Missouri, Nevada, New Hampshire, New Jersey, New York (davanti a Giuliani), North Carolina, Oklahoma, Oregon, Pennsylvania, Washington e nel seggio per gli stranieri.

L'HR2755...

Il suo disegno di legge, l'HR2755, è molto semplice: «Entro un anno dalla data di approvazione di questa legge, il Board dei governatori della Federal reserve System, e ogni banca della Federal reserve sarà abolita». Alla fine dello stesso periodo, concesso per risolvere il problema dei dipendenti - da licenziare - e degli assets della Banca centrale - da cedere al Tesoro - sarà abrogato il Federal Reserve Act, la legge che regola l'autorità monetaria.

...E LA COSTITUZIONE

Il motivo? La Costituzione americana, innanzitutto, di cui Paul vuole il rispetto assoluto, totale; e la Carta fondamentale (all'articolo uno sezione otto) prevede che sia il Congresso a «coniare moneta e regolarne il valore». Per Paul è un messaggio chiaro. «La moneta di valore reale, l'oro o l'argento, era chiaramente preferita dai Padri Fondatori, come mostrano i loro scritti e la Costituzione. La loro avversione per la cartamoneta nasceva dalla loro esperienza con i Continental (durante la rivoluzione, ndr) e la cartamoneta non convertibile coloniale».

UN CUORE LIBERTARIO

Non è però, per Ron Paul, una semplice questione di legittimità formale. Medico antiabortista, il candidato è anche un pacifista e un libertario - nemico quindi della legislazione di Bush contro il terrorismo - e un liberista, favorevole quindi alla libera vendita della droga. L'abolizione della banca centrale, per lui, è solo un primo passo. «Che sia la Federal reserve, il Congresso o i banchieri (attraverso il moltiplicatore dei depositi, ndr) a controllare il sistema monetario - ha scritto - non fa differenza. Tutti inevitabilmente fanno abusi, ed è per questo che noi abbiamo bisogno di una moneta controllata solo dal popolo. L'unica alternativa, morale, costituzionale ed economicamente produttiva è il gold standard con monete convertibili al 100%, che mette i cittadini al potere».

TRA ROTHBARD E MISES

Qualcuno lo definisce un anarcocapitalista, e il ritratto del caposcuola Murray Rothbard è appeso nel suo ufficio, ma la sua storia e i suoi programmi non confermano questa definizione. È un seguace, comunque, della scuola austriaca che trova in Ludwig von Mises (maestro di Friedrich von Hayek) il suo caposcuola negli Stati Uniti.

UN NO ALLA FIAT MONEY

Ron Paul vuole quindi che sia il mercato a definire i tassi di interesse, e crede che solo l'argento e l'oro - insieme alla moneta d'oro elettronica - possano essere usati come denaro. È nemico quindi della moneta emessa dalle Banche centrali (e dalle banche commerciali attraverso le riserve parziali) senza un sostegno reale.

QUANDO MORÌ IL DOLLARO

Le sue idee potrebbero essere condivise anche da un radicale di sinistra. «Quando Nixon dichiarò che i possessori stranieri di dollari non potevano più scambiarli con l'oro - ha scritto - il gold exchange standard giunse a una miserevole fine. Questa ha reso possibile l'inflazione che ha finanziato la guerra in Vietnam e la Grande società, insieme a massicci cattivi investimenti aziendali. Il peggio, però doveva ancora venire. Il dollaro morì quel 15 agosto 1971, e dopo quella data, non ha un valore indipendente per nessuno. Le nuove regole, con il dollaro che è semplicemente una moneta fiduciaria, furono accompagnate da un'inflazione anche maggiore e da turbolenze economiche, e hanno creato le condizioni per una totale perdita di fiducia nel dollaro».

LA SCUOLA AUSTRIACA

Non sono idee originali. Tutti gli economisti della scuola austriaca hanno un'idea eterodossa dei cicli economici, secondo loro causati da un eccesso di liquidità che altera il valore dei beni lanciando segnali sbagliati agli operatori economici e soprattutto agli imprenditori che fanno investimenti. L'inflazione non è quindi l'aumento generalizzato dei prezzi - l'indice è una media, poco significativa - ma il fatto stesso che troppa moneta sia in circolazione: i prezzi si muovono solo lentamente, un bene dopo l'altro - l'effetto Cantillon - partendo dalle azioni e degli immobili.

INVESTIMENTI SBAGLIATI

La scelta politica di iniettare troppa moneta - rispetto al livello di risparmio del sistema - crea quindi recessioni, perché gli investimenti sono effettuati sulla base di segnali (di prezzo) sbagliati e incoerenti. Se si tenta di evitare le crisi immettendo altra moneta, spiega la scuola, si ha come effetto solo il rinvio della recessione, che però diventa più grave. Prima o poi il disallineamento - per semplificare - tra valori reali e valori monetari - esplode.

ATTRAVERSO OCCHI AUSTRIACI

Poco a suo agio con il linguaggio matematico, incurante della nozione stessa di equilibrio, fortemente individualista (nella tradizione di Carl Menger) e forse eccessivamente liberista, la scuola austriaca per quanto piena di spunti interessanti appare a molti ormai rigida e soprattutto sterile, incapace di proporre qualcosa di nuovo; ma ha avuto qualcosa da dire in questi ultimi anni in cui il mondo è stato inondato di liquidità. Due anni fa, a giugno, l'allora capo economista della Lehman Brothers, John Llewellyn, si richiamò agli insegnamenti della scuola, sia pure in modo "pragmatico, in una sua nota («Through Austrian eyes»). «A marzo - scriveva - abbiamo dato, a una crisi Usa legata al deficit corrente con l'estero tra dodici mesi, una probabilità del 20% che passa al 45% nei prossimi tre anni. Ora bisogna aggiungere le probabilità dei problemi sul mercato immobiliare, e aumentiamo la nostra valutazione di un "incidente" al 20% nei dodici mesi e al 50% entro tre anni». Suona familiare?