domenica 24 febbraio 2008

Ron Paul e Cuba



Nelle cronache di questi giorni Cuba è alla ribalta per il cambio della guardia tra i fratelli Castro.
La vicenda cubana implica aspetti storici e politici molto complessi, difficilmente liquidabili con slogan tanto lapidari quanto fanatici, pro o contro Castro e il suo regime. Che resta regime illiberale ed è stato regime sanguinario, anche col contributo di Che Guevara, uno dei più atroci falsi miti contemporanei.
Tempo fa ho trovato un'affermazione di Raoul Castro sulle elezioni presidenziali negli Usa: “scegliere tra un repubblicano e un democratico? E' come scegliere tra me e mio fratello”. Putroppo non ho tenuto il link e ho perso la fonte: se qualcuno la ritrova, si può mettere agli atti un utile, divertente e amaro aforisma sulla politica contemporanea.

Già un paio di mesi fa -questo invece l'avevo salvato- un articolo di Granma, principale giornale cubano, dava positivo risalto alle posizioni di Ron Paul su Cuba, titolando “Un candidato repubblicano si distingue nella politica verso Cuba”: semplicemente le solite idee di Paul in politica estera.
Infatti così lo citava Granma: "Gli Americani vogliono la libertà di viaggiare e di commerciare con i loro vicini cubani, come sono liberi di viaggiare e di commerciare con il Vietnam e la Cina".

proseguiva il giornale cubano:

Ron Paul non attira i media del suo paese , benché sia deputato da lungo tempo (...) , qualcuno lo chiama «Dottor No » perché ha quasi sempre votato contro le decisioni di
Bush: è stato il solo deputato repubblicano a votare «no» al cosiddetto "Patriot Act" e alla guerra in Irak. Si è opposto al fatto che gli Stati Uniti intervengano negli altri paesi e che le truppe americane siano i gendarmi del mondo. Si è anche opposto all'aumento di stipendio dei deputati, e chiede di limitare e smantellare agenzie come la Cia. (...)
Senza abbandonare le sue convinzioni ideologiche basate sull'economia di mercato, Paul precisa: «E' davvero paradossale vedere i cosiddetti capitalisti, fautori del libero scambio, spingere i comunisti alla libertà con i finanziamenti del Governo. Invochiamo l'esistenza di una stampa privata e libera a Cuba quando facciamo propaganda di stato tra i Cubani con Marti, le nostre radio e TV pubbliche che sono costate 600 milioni di dollari ai contribuenti».
(...)« Basta discutere di cosa è meglio per il popolo cubano. Che fine ha fatto la volontà del popolo degli Stati Uniti , che é assolutamente a favore della via diplomatica con Cuba?», si è chiesto Paul che, come molti membri del Congresso, vuole la normalizzazione delle relazioni con l'isola.
(...) Hillary Clinton vuole mantenere il blocco, come quasi tutti i repubblicani per paura di perdere i colossali contributi dei cubano-americani della Florida. Ma seguire passivamente tali interessi, in modo simile a quello che accade nella discussione sul ritiro dall'Iraq, potrebbe trasformarsi nella sua Waterloo.
Cuba ha chiesto di togliere il blocco che subisce dal 1962 da parte degli Stati Uniti, citando davanti al Wto i principi di liberalizzazione commerciale propri di tale organizzazione.
Cuba ricorda agli altri membri che il Wto spinge per "l'eliminazione dei trattamenti discriminatori nelle relazioni commerciali internazionali."
Persino il quotidiano Miami Herald, in genere pancia a terra in favore degli ultraconservatori cubano-americani, ha sostenuto di recente che il viaggio dei fratelli Diaz Balart (famiglia di politici Usa di origine cubana, n.d.t.) in Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, in cerca di appoggio contro il governo cubano, rappresenta "una battaglia difficile. Nonostante che i paesi del vecchio blocco sovietico siano ricettivi, altri paesi in Europa e America Latina sono più scettici, e sostengono che le sanzioni degli Usa non funzionano e che sarebbe l'ora di migliorare le relazioni con L' Avana".
Ron Paul dichiara: "Basta con l'isteria sulla libertà dei Cubani – che non è nella responsabilità del nostro governo– e teniamo conto della libertà dei cittadini statunitensi."
Paul reclama libertà per i Nord-Americani, per commerciare con chi vogliono e viaggiare dove vogliono, e non vuole che sia il governo a dettargli cosa fare.
"La nostra amministrazione attuale é percepita come insignificante, almeno a Cuba, dove il messaggio cade nel vuoto"
"Se l'amministrazione vuole davvero tendere una mano amichevole, dovrebbe permettere al popolo nord-americano di agire liberamente come ambasciatori di se stessi, commerciando e viaggiando. Visto lo scacco del governo nello stabilire un'amicizia con Cuba, è tempo que ceda il suo ruolo e lasci il popolo operare questo riavvicinamento".

(fine della citazione)

In un comunicato del 20 Febbraio Ron Paul, anche in qualità di membro della Commissione Esteri del parlamento, è ancora intervenuto su Cuba:

"Fidel Castro è un dittatore brutale che per cinquant'anni ha derubato il popolo cubano della sua libertà. Le sue dimissioni non significano la fine del comunismo a Cuba ma è un bene vederlo andare via.
L'addio di Castro fornisce
all'America una grande opportunità per riflettere sull'attuale embargo commerciale contro l' isola nostra vicina.
Sono state concepite
politiche per indebolire il regime di Castro, ma credo che in realtà lo abbiano aiutato a mantenere un rude controllo e gli abbiano permesso di tenere il suo potere per decenni, ben più di quello che sarebbe stato in grado di mantenere da solo.
Il libero commercio e un aperto scambio di informazioni sono gli strumenti migliori che l'America ha per combattere la
tirannia internazionale.
Gli Stati Uniti dovrebbero rapidamente porre fine all'
embargo commerciale verso Cuba.
I
mercati cubani possono essere una buona piazza per i nostri agricoltori e per i prodotti delle nostre imprese. Allora il potere del libero mercato, nel tempo, potrebbe estendersi ai restanti regimi totalitari, ponendo fine al comunismo in occidente."

Cuba, Iraq, Iran, Venezuela: volendo, è facile trovare in rete gli ipocriti furbastri che accusano Paul di essere al servizio dei "peggiori nemici" dell'America. E' facile anche trovare le cronache elettorali della tv pubblica iraniana. Certo più continue, obiettive e dettagliate di quelle di Fox o del New York Times.
Il liberismo commerciale può avere tutti i limiti di cui anche qui si è accennato. Sicuramente però nei rapporti con queste nazioni, se praticato avrebbe evitato molte guerre e molti saccheggi dei popoli implicati, del "contribuente americano", come dice sempre Ron, e credo di non sbagliare, del contribuente europeo.
Ma una casta imbrogliona e parassita mondiale è incistata nei governi, e ci racconta che siamo in un sistema virtuoso, di libero commercio: hanno persino inventato il Wto per renderlo più libero. Infatti l'unico liberista credibile al mondo, Ron Paul, lo vuole abolire.


martedì 19 febbraio 2008

Cinema italiano per Ron Paul!

Il titolo è un auspicio, ma grazie al nostro amico Mirko, stiamo cominciando...

Rilanciamo l'entusiasmo degli Italiani per Ron Paul attraverso nuovi video sottotitolati! Non c'è solo la traduzione, alle immagini si affianca la musica leggera italiana. Mirko ha scelto testi e sonorità davvero adatti al messaggio di Ron: nel “mi fido di te” (Jovanotti) del video pubblicato l'altro giorno, come in “parlami” di Elisa, che accompagna quello di oggi, ritroviamo la tensione, la commozione e la speranza di una lunga avventura, non solo elettorale.

Confidiamo che queste piccole creazioni diffonderanno meglio in Italia il sano contagio paulista. Nel pensiero di Ron Paul la verità sui fatti è la bussola, il raziocinio tiene la rotta. Ciò è particolarmente chiaro in politica estera, materia che riguarda tutti e che più unisce i suoi sostenitori. Chi cerca verità sulle vicende del mondo e desidera pace sulla terra, prima o poi incontra la profonda quiete personale di Ron Paul, che si fa tutt'uno con la sua logica ferrea e tranquilla, mentre dimostra l'insensatezza delle guerre.

E' stata una bella idea, in queste opere prime, concentrarsi sul messaggio anti-guerra. Nella colonna di destra abbiamo inserito un'altra traduzione sulla politica estera, sempre all'insegna del "mi fido di te" e l'adattamento che Mirko ha fatto di un video che spopola, anche in Italia: è la parodia di uno spot di Obama che si ritorce contro McCain e i suoi cento anni in Irak, con piccola sorpresa paulista finale.



venerdì 15 febbraio 2008

Chi conta i delegati e chi conta su Ron Paul

La pittoresca convention repubblicana in West Virginia.



Gli ultimi giorni hanno visto due novità, una elettorale e una politica.

Quella elettorale è l'appoggio di Romney a McCain: in teoria stupisce, visti i toni aspri tra i due fino ad una settimana fa, in pratica è una delle usuali giravolte della politica.
Romney, già governatore "liberal", negli ultimi mesi di lifting si stava proponendo come paladino dei conservatori non convinti da McCain. Il giorno dell'addio, Romney si è profuso a modo suo in un "Dio Patria Famiglia" davanti all'assemblea del più grande movimento conservatore. Ora, l'ennesimo flip-flop della sua carriera: tutti con McCain! Ma tutti chi? Buona parte dei suoi delegati non ne vorranno sapere di votare oggi il nemico di ieri. Non ci sono vincoli, come nota nel commento al post sotto il sempre attento Gerontion: "i delegati di romney possono votare chi pare a loro, le tv mentono, al momento mccain ha piu o meno 800 delegati "pledged" al primo voto, ne servono altri 391 prima che sia finita".



Ron Paul ieri alla Georgetown University.
Ha radunato 700 studenti ad ascoltarlo. Il giorno prima per Condoleeza Rice erano la metà.


La novità politica, manco a dirlo, la porta continuamente Ron Paul.
Il suo lancio della "marcia su Washington", lasciando ai suoi sostentori di decidere (il dibattito è vivacissimo come sempre!) data e modalità, è segno che si sta costruendo un movimento nuovo, "libertario e conservatore", è stato scritto.
I due termini rimandano a mondi differenti, ora affini ora distanti. La novità paulista riuscirà se farà sintesi, compromesso nobile.
Vorrei riaprire una discussione già avviata ma subito travolta dalla cronaca elettorale, perciò vado a ripescare passi di un post precedente, integrandoli con alcune novità e interessanti commenti che ne erano venuti.


- il problema della libertà di informazione esiste, la vicenda internettiana di Ron Paul è positiva, dieci anni fa sarebbe stato impensabile il risultato di oggi. Però non è bastato. Bisogna proseguire su questa via, accelerare il transito all'informazione su internet di tantissime persone, anche medio-giovani e istruite che ancora non l'hanno fatto.
Novità: il vulcanico Trevor Lyman, con un socio lancia una nuova iniziativa per rompere il dell'informazione: breakthematrix
- cos'è di Ron Paul che non ha convinto tanti elettori che pure l'hanno conosciuto? Alcuni sostengono che c'è timore delle proposte libertarie e privatistiche radicali nella sanità e nella previdenza.
- Una dialogo non fazioso e non troppo teorico, dove si discutano i lati pratici positivi e negativi delle vedute liberale-libertaria e sociale-statale può essere utile, anche per noi, anziché parlare di "Berlusconi" e di "comunisti"?
Aggiungo: esistono già i movimenti libertari, quelli a vario titolo di sinistra e di destra, quelli ispirati al pensiero sociale cattolico. Un movimento paulista è diverso da tutto questo?

L'altro giorno Francesco Rossi è intervenuto con alcune considerazioni molto interessanti, una parte mi sembra proprio azzeccata, è "metapolitica" direbbero gli intellettuali:

" (...) E' vero. Il movimento paulista NON PUO' essere catalogato come libertario. Lo stesso programma di RP non è "libertario" nel senso tradizionale del termine. E' un programma "coerente", di forte ispirazione "libertaria" ma di fatto "ibrido". Cos'è che tiene insieme tutto questo allora, cioè i vari punti del programma e i diversi tipi di elettori? E' detto nell'articolo sopra di Doug Wead: la verità. E se la verità l'ha fatto perdere dove ha perso, la verità gli ha anche consentito di arrivare dove è arrivato. C'è una gran sete di verità in politica, di eliminazione delle ipocrisie, dei politically correct, dei governi top-down. RP rispondeva e risponde in maniera politica ad un'esigenza che altrimenti s'incanalerebbe facilmente in quella che da noi viene, più o meno propriamente, definita anti-politica."

l'altra considerazione di Francesco, sottolinea che la politica di Ron Paul è un "tutto integro", dove la politica estera è correlata alla sua visione dell'economia, che, aggiungo io, in queste correlazioni pare avere il ruolo di snodo centrale:

(...) non possiamo dimenticare che il programma di RP è un "tutto integro". Mi spiego: la sua visione in economia è causa e conseguenza della sua visione in politica estera. Pure RP l'ha ripetuto fino alla nausea nei dibattiti. Per cui io elettore devo sapere che se lui vuole una certa politica estera è perchè vuole una certa politica economica e viceversa. Questo è al contempo un pregio e un limite, perchè se la coerenza conferisce valore al programma, dall'altro lato aliena i voti di coloro (la maggioranza) che non si identificano totalmente in un programma politico. (...)

Bene, visto che non possiamo prenotare il volo finchè non sappiamo la data della marcia su Washington, intanto discutiamo! ;-)

martedì 12 febbraio 2008

Ron Paul: la campagna non è finita!


Oggi si vota in Virginia, Maryland e Washington D.C.

E proprio oggi arriva un nuovo messaggio di Ron Paul che rilancia la sua campagna a lungo termine: "La campagna è in piena continuazione. Non è finita! Anche se ora dicono che c'è un "cosiddetto vincitore ", voi sapete che non è vero finché non è finita!"
In qualche modo Paul corregge il tiro rispetto al suo messaggio di venerdì, in cui ha dato l'impressione, oltre le sue stesse intenzioni, di tirare i remi in barca. Ma, come dice lui stesso "Tutt'a un tratto le cose cambiano! Non sappiamo che cosa accadrà - circolano un sacco di informazioni sugli altri due candidati, che potrebbero alterare definitivamente questa elezione”.
Ron Paul non è uno che di solito parla per allusioni: forse dalla sua posizione recepisce la turbolenza dello scenario: possibili ritiri, accordi, colpi di scena e colpi bassi che l'establishment vivrà al suo interno. Le stanze del potere vivono le loro ristrutturazioni, i loro traslochi, forse i loro sfratti senza preavviso.
Infine lancia al suo popolo l'idea di una grande “marcia” su Washington e attende dalla base i suggerimenti e le proposte organizzative: dev'essere un evento che non passi inosservato, anzi, fatto proprio per rompere il muro del silenzio intorno a lui e alla sua pacifica revolution. Da tenersi probabilmente a Giugno, per impressionare i media e tutta l'America. Ben coscienti che la conta dei numeri in quest'occasione può essere un successo e un rischio. Vedremo. Si profila quindi il nuovo grande evento paulista, per la prima volta lanciato ai grassroots dal leader in persona: una nuova avventura che terrà banco per molto tempo.

Primarie.

Oggi in palio nei tre stati ci sono 116 delegati, sono tutte primarie e quindi non ci dovrebbe essere la complessità di attribuzione dei delegati tipica dei caucus. Che invece sono sempre nel marasma. A volte sembra di essere una tifoseria repressa che sbraita sempre per il rigore non concesso ma i il “vizio” di non completare lo spoglio, la sera stessa del voto, i brogli, ora sono denunciati anche da Huckabee che manda i suoi avvocati a Seattle:

WASHINGTON (Reuters) - Il candidato repubblicano Mike Huckabee ha messo in dubbio gli esiti delle primarie nello stato di Washington avvenute lo scorso fine settimana, in cui è risultato secondo rispetto al suo avversario John McCain.
I legali di Huckabee stanno valutando tutte le possibilità che consentano di giungere a un pieno conteggio dei voti, dati i "risultati finali sospetti" della votazione.
"Vogliamo elezioni pulite, e non siamo sicuri di averle avute", ha detto Huckabee in un'intervista al "Today Show" della Nbc.
Secondo Huckebee, sarebbero stati contati solo l'87% dei voti, con 1.500 schede ancora da conteggiare. McCain superava al momento il suo avversario di soli 242 voti su circa 12.000.
"Chiederemo il pieno conteggio. Verificheremo cosa è successo... Sembrerebbe che arbitrariamente il capo del partito abbia pensato di poter vedere come stava andando l'elezione..." ha detto Huckabee alla Cnn.

La denuncia di HB è di ieri, oggi pare che il Gop ammetta "errori"...
Anche un osservatore professionista e neutrale, come il giornalista Marcello Foa, rispondendo ai commenti nel suo blog afferma: “ Riguardo la Louisiana la situazione è la seguente, a quanto sono riuscito ad appurare: gli exit polls davano McCain vincitore, lo scrutinio definitivo Ron Paul, ma i media hanno citato solo gli exit polls…”
Nonostante la loro importanza le primarie americane sono un'elezione indetta e curata da un partito, cioè un'associazione privata, anche se poi da qualche parte nelle leggi statali è conferito potere di controllo sul voto ad organi pubblici, come il Segretario di Stato...che curiosamente (l'ho già scritto ma voglio ripeterlo) proprio a Seattle ha fatto endorsement per McCain, come anche l'ha fatto il Procuratore Capo, il più alto magistrato dello Stato. Paese che vai, usanze che trovi...
In un simile contesto, come credere all'imparzialità di organi di partito addetti alla regolarità del voto?! E poi questi a chi si appellano? Al segretario di Stato e ai giudici che hanno indorsato McCain?! Ma andiamo!...
A proposito di appelli, la farsa della Louisiana (sono passati 20 giorni dal caucus) non è mica finita: qui è Ron Paul a muoversi. Se ne scrive su questo sito, che mi pare piuttosto accurato e pieno di dettagli, io traduco solo qualcosa:
“Tre reclami sono state depositati dalla campagna di Ron Paul verso il partito repubblicano della Louisiana.
Queste tre denunce potrebbero cambiare l'esito ufficiale del caucus in tempo per la convention dello Stato il 16 febbraio, oppure possono diventare la base per una causa, che potrebbe portare ad un ordine restrittivo per impedire al partito l'indizione della convention di Stato finché non sa assicurato il rispetto delle regole interne.
La campagna di Ron Paul ritiene che circa il 95% dei 650 voti espressi e tenuti in sospeso sono stati espressi da sostenitori di Ron Paul, e registrati tutti come repubblicani, al momento della scadenza del partito, il 30 novembre.”
Per la ricostruzione delle irregolarità in Louisiana secondo la campagna di Ron Paul, rimando a questo nostro post.
Insieme a questi ladri di polli riciclati in politica, non dimentichiamo il coté evoluto: il voto elettronico con il suo software manipolabile senza lasciar traccia: è l'altra faccia del vote-fraud, che rende gli Usa gli insuperabili technologic states of bananas.

Nella mia testa come nei forum paulisti, regna la confusione nell'interpretare le attribuzioni del delegati, la loro libertà o meno di cambiare candidato in sede di convention, statale e nazionale.
Per fortuna che c'è Gerontion: è molto preciso e interviene spesso a dipanare il garbuglio e per sottolineare le imprecisioni di conteggio. Su Italian bloggers for Ron Paul ha fatto questo riepilogo della situazione e delle procedure: la sua analisi tattico-politica è molto condivisibile, e ricrea una sana positiva ansia sull'esito delle convention. Per i numeri e per le regole ci fidiamo ciecamente di lui, che scrive:


(...) a fronte di tutto ciò c'è poi da chiarire un punto fondamentale: nella più grande democrazia del pianeta, la decisione del candidato a presidente non spetta al popolo sovrano! Il circo mediatico attorno alle primarie è appunto solo questo, tuttavia sono i delegati a decidere la nomination del GOP e la loro scelta non ha quasi alcun legame con i milioni di voti che gli americani hanno effettuato e continueranno a fare fino a Settembre.
Alla convention in Minnesota, per vincere la candidatura, servono i voti di almeno 1191 delegati; in più il nome da mettere al ballot deve essere assicurato prima dalla maggioranza dei delegati provenienti da almeno 5 stati diversi.
I delegati totali sono 2380 e di questi 651 sono del tutto liberi di votare per chi diavolo pare loro fin dal primo voto; dei restanti delegati solo 463 sono legati al loro candidato per tutta la durata della convention, mentre 565 sono legati solo nel primo voto, ma se nessuno dei candidati ottiene la maggioranza prescritta si dovrà continuare a votare e l'obbligo di voto svanisce. Altri 383 delegati sono "bound" nei primi due voti e altri 318 fino al terzo voto. A questi numeri totali vanno aggiunti i delegati da Ohio, stato di Washington, North Carolina a Virgin Islands che sono legati "soltanto" da un obbligo morale di tipo ufficioso.
E a questi numeri che bisogna fare riferimento e non alle percentuali della Fox o della CNN dopo ogni voto. E con questi numeri McCain, a meno di un accordo tale da riuscire a tenere assieme i big che hanno lasciato per poi tentare di convincere i delegati "liberi" a votarlo al primo voto utile, è ancora molto lontano dalla nomination.
Per questo ritengo che Ron Paul debba continuare a lottare nelle fila repubblicane, continuare a raccogliere delegati, che al momento sono sopra i 40, e spendere i soldi rimasti facendo le pulci a McCain e Huckabee, e puntare ad arrivare alla convention con un discreto nuemero di delegati dalla sua e con il resto del repubblicani divisi e poi lì cercare di farsi strada nell'incertezza; si tratterà di un'altra "mini" ma importantissima campagna elettorale, in realtà l'unica vera campagna elettorale, ma bisogna arrivarci e ci si arriva bene solo continuando la strategia di logoramento delegato su delegato, caucus su caucus, dollaro su dollaro. E' già successo una volta che un underdog arrivasse alla convention repubblicana già decisa e che poi, sfruttando i complessi meccanismi di voto e le divisioni personali e politiche degli avversari, uscisse dalla convention come candidato presidente: si chiamava Abraham Lincoln.

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Ecco il primo video originale creato in Italia per Ron Paul: il "regista" è Mirko, che ringraziamo commossi!

RON PAUL, MI FIDO DI TE!

lunedì 11 febbraio 2008

Foa: domande su Ron Paul e la democrazia in America

Da non perdere
questo articolo sul blog di Marcello Foa.

Foa, inviato speciale di politica internazionale per "il Giornale", pone ai lettori due interessanti domande sul "silenziamento" di Ron Paul e sul funzionamento della democrazia americana.
Invito tutti caldamente ad intervenire NON QUI MA SUL BLOG DI FOA .
Se molti faranno sentire, con educazione, la loro voce in favore di Ron Paul, possono aumentare le possibilità che tutta la vicenda finisca sulla grande carta stamapata italiana, come meriterebbe.

domenica 10 febbraio 2008

A quando gli inviati Osce per controllare le elezioni americane?

RON PAUL VINCE NELLO STATO DI WASHINGTON
E IL REGIME INSABBIA

22,30
RON PAUL STRAVINCE PER NUMERO DI DELEGATI NEL WASHINGTON.
Arriva una email dal coordinatore della campagna di Ron Paul nello stato di Washington che ci riempie di soddisfazione ma è anche amarissima conferma di quanto scritto ironicamente nel pezzo sotto:
Da un primo conteggio preliminare.. risulta che abbiamo almeno il doppio dei delegati degli altri candidati!
(segue all'indirizzo originale)

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E poi vanno a fare la predica ai russi.

Qui sono le 22, primo pomeriggio a Seattle. Ieri, pur avendo chiuso molto presto il voto nei caucus del Washington, al solito gli scrutatori sono andati a letto come le galline, all'imbrunire.
Le galline però all'alba sono cariche di adrenalina, il partito repubblicano di Seattle invece si dev'essere schiantato, ieri sera, al peso di ben 11.800 schede in 6235 seggi. Io non sono forte in matematica, ma secondo voi quanti scrutatori per seggio ci saranno voluti per contare i circa 1,8 voti che l'urna gli ha riversato davanti? Lavoro improbo, infatti il totale sopra riferito è relativo a poco più dell'80% dei voti. Purtroppo, quando la fine di questo lavoro massacrante era a portata di mano, il crollo. Di fronte a questa piccola tragedia, com si poteva pensare di continuare la Domenica? E poi, dove trovare in così breve tempo qualcuno che portasse a termine il compito?
Sicuramente non era il risultato del voto in discussione, McCain era avanti di 200 voti su Huckabee e di 600 su Ron Paul. Cosa sarà questa fissazione di contare proprio tutto quando il risultato è chiaro? Anche in Maine, hanno votato otto giorni fa, ma la CNN oggi riporta ancora solo il 68% dello spoglio. Gli americani sono pratici, nessuno si è lamentato per questi cavilli bizantini!





sabato 9 febbraio 2008

Ron Paul Spring, lettera sul futuro

Winslow Homer (Boston, 1836-1910) - Il canto dell'allodola. Chrisler Museum, Norfolk Va.




Ieri alle 23 ora di Washington, Ron Paul ha diffuso una lettera sullo stato della corsa repubblicana, della sua campagna e dove accenna agli impegni futuri. C'è molto realismo e buon senso, la determinazione di continuare per testimonianza, allentando lo stress organizzativo e riducendo i costi. I forum paulisti denotano grande perplessità sul fatto, ipotizzato da Paul, che McCain abbia la maggioranza in tasca, almeno prima di arrivare alla Convention. Inoltre la primaria del 4 Marzo in Texas è importantissima, Paul deve riconfermare anche il seggio in parlamento, come ricorda lui stesso.
Azzardo un'interpretazione del realismo di Ron Paul: è cosciente del forte asse in azione all'interno delle élites: Kissinger, attraverso McCain, favorirà i democratici nella vittoria finale, e tutti insieme trasmetteranno l'idea di una grande svolta: non solo cambio di partito, ma donna o nero. In realtà si appronterà una grande coalizione non dichiarata, che avrà per garanti lo stesso Kissinger e Brzezinski da parte democratica, emarginando il gruppo perdente dei neocons. Monitorando la rete, l'asse era in qualche modo venuto fuori, in seguito si è messa la sordina. Questo è il rinnovamento americano.
Niente trame di potere per Ron Paul, ma l'entusiasmo e la fatica dell'educazione alla libertà. Nella lettera tradotta qui sotto Paul cita -se temerario o beffardo non sappiamo- Trotsky, capostipite dei neocons, per confermare la sua revolution. Io continuo a prendermi la licenza di chiamarla Ron Paul Spring. E come scrive Ron, onward and upward!

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Lettera di Ron Paul

Che anno è stato questo! E che risultati abbiamo avuto! Se posso citare Trotsky, fra tutti, questa rivoluzione è permanente. Non finirà alla convention repubblicana. Non finirà a Novembre. Non si concluderà finché non avremo vinto la grande battaglia per cui ci siamo imbarcati. Non per me, ma per voi. Milioni di americani - e di amici in molte altre nazioni - si sono dedicati ai principi di libertà: libera impresa, governo limitato, una moneta solida, nessuna imposta sul reddito e la pace. Noi non ci fermiamo finché c'è questa restrizione sulle nostre persone, le nostre proprietà, le nostra libertà civili.
Quanto vi devo. Non ripagherò mai abbastanza le vostro generose donazioni, il vostro duro lavoro, l'impegno svolto con tutto il cuore e il vostro amore per la libertà. Che benedizione per me, essere accompagnato da voi. Anche Carol, naturalmente, vi manda tutto il suo affetto.

Permettetemi di dirvi il mio pensiero. Con l'uscita di Romney, le possibilità di una convention incerta sono quasi a zero.
Ciò non pregiudica la mia determinazione a combattere, in ogni caucus e primaria che resta, nonché alla convention, per le nostre idee, con il numero di delegati che avremo in quel momento. Ma con tanti caucus e primarie ormai svolti, ora non ci sono grandi necessità di staff e di impegno nazionale, e quindi restringo e alleggerisco la mia struttura.

E' chiaro che mi sono impegnato a combattere per le nostre idee all'interno del Partito Repubblicano, per cui non ci sarà nessun terzo partito. Io non denigro i terzi partiti, anzi al contrario, e ho lavorato a lungo per rimuovere le restrizioni contro il loro accesso al voto. Ma io sono repubblicano e resterò repubblicano.

Ho anche un'altra priorità. Ci sono gli elettori del mio distretto elettorale che io devo servire. Non posso e non voglio abbandonarli. E' un'altra battaglia da affrontare. Se dovessi perdere le primarie per il mio seggio al Congresso, tutti i nostri avversari ne sarebbero contenti e si inventerebbero che è stato un rifiuto delle nostre idee. Non voglio e non permetterò che accada.

Nella corsa presidenziale e in quella per il Congresso ho bisogno del vostro sostegno, come sempre. Inoltre ho dei progetti sul futuro della nostra battaglia ideale, in politica e nell'istruzione, e li condividerò con voi appena possibile, ho bisogno di voi al mio fianco.

Intanto, avanti e in alto![onward and upward!] I neocons, i guerrafondai, i socialisti, i sostenitori dell'inflazione ne sentiranno ancora molte da voi e da me.

Sinceramente,

Ron

Fiori di caucus

Oggi si tengono i caucus negli stati di Washington e Kansas. In Louisiana c'è la primaria che fa seguito al caucus del 22 Gennaio, del quale nessuno ha capito più nulla, con i suoi probabili imbrogli, il “listone tutti-contro Paul” e la difficoltà di attribuire i delegati che per statuto non sono vincolati. La Ron Paul campaign prudentemente se ne attribuisce tre sicuri, che concorrerebbero al famoso numero di 42, che nessun altro riporta.
Il Kansas assegna 36 delegati: anche qui regole “arcane”, qualche seggio dovrebbe essere assegnato in una convention successiva. E' terra favorevole ad Huckabee, comunque il primo non prende tutto.
Il Washington (Seattle, Nord-Pacifico) invece dovrebbe vedere Ron Paul meglio piazzato. Romney qui teoricamente era favorito rispetto a McCain. Visto che si è appena ritirato con clamore, speriamo che chi vota se ne sia accorto. Siamo freschi delle migliaia di voti inutili dati al ritirato Giuliani e addirittura a Thompson, che nel suo Tennessee ha preso l'8% pur essendo fuori da un pezzo. E' una delle tante genialità del “sistema democratico” e della sua appendice di disinformazia che vogliono dare lezioni al mondo.
L'ultima ora ci aggiunge questa perla: è caos in Washington perché i media stanno dando errati orari dei caucus, i quali peraltro pare che chiuderanno all'assurda ora delle 13!!
Speriamo inoltre che gli orfani di Romney almeno non scelgano McCain, dopo averlo tanto combattuto. Tuttavia nelle elezioni, anche quelle non taroccate, non ci si può stupire mai di niente: la razionalità e l'urna si trascinano un conflitto che ha del mistero.

Attorno al fattore quorum-McCain gira la seconda fase di primarie. Ci sono voci e conti molto ottimisti, forse troppo, dal nostro punto di vista. Comunque per McCannon non sarà una passeggiata come i media vogliono far credere. Tutto un mondo conservatore americano non lo vuole votare, e anche se si orienterà su HB piuttosto che su Paul, resta il fatto che quota 1191 non è così vicina ai 706 (ma forse meno) delegati attribuiti oggi al pupillo di Kissinger. Di HB peraltro va detta la grande opacità con cui continua la gara, senza soldi ma col credito di un ente che a Kissinger è vicino, il Cfr: HB ne ha nominato il presidente Richard Haas suo consigliere per la politica estera. E si sa che farebbe carte false per diventare il vice di Mc. Perciò i voti dati a lui sono l'inconsapevole tradimento dell'elettorato sudista, evangelico e conservatore. Proverbio del giorno: un voto per HB è un voto per Mc che è un voto per Hillary (così su Rockwell).



Huck, due, tre!


Dopo il supermartedì ci sono stati due importanti interventi pubblici di Ron Paul come ospite, ed in entrambi, come è stato scritto anche qui nei commenti, il nostro è apparso in forma smagliante. Quanto all'esito, ritengo un po' sopravvalutato il successo alla conferenza dell'Unione dei Conservatori: è sì la più grande associazione che fiancheggia il Partito Repubblicano, ma la sala ha visto susseguirsi i fans del candidato di turno. Ieri hanno fatto tremare i muri per la gioia di salutare Bush, al grido di “quattro anni ancora!”.
Mi pare molto più importante invece l'intervento ieri di Paul davanti all'assemblea finora più vasta di tutta la campagna elettorale e forse della sua carriera: più di 8000 persone, quasi tutti studenti della Liberty University che ha organizzato l'evento in Virginia (dove si tiene la primaria il 12 Febbraio, 63 delegati). Uno Stato importante, che gravita sulla vicina Washington. Un ambiente accademico già vicino ai Bush nella grande università di stampo fortemente neocristiano e conservatore. E' in questi terreni che la ventata di razionalità di Ron Paul può creare innesti fecondi e dove la Ron Paul Spring può sbocciare: qui si coltiva l'America di domani. Cercheremo di tornare in tema dopo questa tornata elettorale.




giovedì 7 febbraio 2008

ROMNEY SI E' RITIRATO!



Nell'annuncio del ritiro Romney si richiama al primo tentativo e alla rinuncia di Reagan nel 1976, vincitore quattro anni dopo, facendo intendere che si prepara già alla sfida del 2012 al presidente democratico in carica.

Come prevedibile nessun endorsement per McCain, anzi ricorda la distanza da lui su molti temi, esclusa la lotta al terrorismo. Continui i riferimenti ai valori del conservatorismo.
Sottolinea che il suo ritiro avviene dopo grandi dimostrazioni di consenso popolare, mentre in corsa restano candidati con percentuali in cifra singola.
Enfasi non comune sulla religione e la sua difesa, parla di morale con forti toni da predicatore più che da politico. Immancabile tirata sul terrorismo e sul ruolo, anche militare, dell'America nel mondo. Sembra volersi ritagliare un grande ruolo-guida dell'area conservatrice, contrapposto al liberalismo dei McCain e dei Giuliani. Nella possibile disfatta del vecchio Gop, si autocandida alla testa di un rinnovamento conservatore: verso Romney 2012.

I media continueranno il loro ordinario lavoro di censura: Reuters e Fox hanno già annunciato che restano in lizza solo due candidati, McCain e Huckabee. Si adatteranno tutti al modello Fox? Con solo tre candidati diventa dura per l'establishment ospitare Ron Paul ai dibattiti in tv. Riusciranno a farli solo tra McCain e Huckabee? E come farà Huck, notoriamente senza una lira, a pagare la campagna per la metà delle primarie che restano? Qualcuno lo aiuterà a fare l'avversario fantoccio di McCannon? E se si ritira Huck, con chi si confronterà il finto eroe del Vietnam?
Con chi?....


Nel primo lancio della Cnn abbiamo trovato l'ennesima interpretazione sibillina delle regole elettorali, ma di fatto Romney si ritira.
Sarà ricordato come il candidato più ricco e come l'uomo del flip-flop, (le infradito) così chiamano chi cambia idee politiche per convenienza e viene facilmente colto in contraddizione.
Vedremo se dietro questo fatto nuovo ci sono accordi, se si tradurrà in vantaggio puro semplice per McCain...o anche per Ron Paul.



In ricordo del programma elettorale di Mitt Romney.


mercoledì 6 febbraio 2008

Il ruggito del topo: Perché Ron Paul ha vinto le elezioni

Aggiornamento!

Ron Paul ha raggiunto 42 delegati e forse più. Come speravamo, gli "arcani" caucus hanno dato un risultato migliore di quanto apparso in un primo momento. Dai media già traspare disappunto perché Ron Paul non si ritira...


L'elefante è il simbolo del Partito repubblicano.


Il titolo di questo post è quello dell'articolo che segue. L'autore è Doug Wead, storico e analista politico, ideatore, ci informa Michel Nystrom, di un espressione piuttosto nota, "conservatorismo compassionevole".
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Leggo in un secondo tempo qualcosa di Wead, che non conoscevo: è una persona, almeno un tempo, notevolmente interna alla cerchia dei Bush! Forse quello di Wead, col suo modo particolare e un po' tardivo, è l'endorsement politicamente più rilevante finora ricevuto Ron Paul]
Il pezzo di Wead appare oggi sul suo blog, ed è già stato ripreso sul web paulista. Il merito del pezzo e del compassionate conservatism è discutibile come tutto, ma credo sia interessante pubblicare quest'elogio di Ron Paul in un giorno non facile, che viene da parte di un conservatore doc.

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Bene allora, dicono i repubblicani: abbiamo un candidato. Sarebbe un fatto molto positivo, ma c'è stato solo un chiaro vincitore nella confusa lotta per la nomination del Gop e non è stato John McCain. Il vincitore è stato Ron Paul. E gli effetti della sua vittoria si sentiranno negli anni a venire.

Ron Paul ha fatto un classico errore politico. Ha detto la verità. Dibattito dopo dibattito ha puntato il dito verso il suo partito, il suo presidente e i suoi colleghi contendenti per la nomination gridando a voce alta, come il ragazzino della proverbiale storia: "non hanno vestiti!" Sì, ecco, abbiamo guardato e davvero non li avevano. Erano completamente nudi.

Egli ha dimostrato che il movimento conservatore ha perso la sua strada, la sua autorità morale e la sua logica. Ci ha mostrato che siamo diventati la squadra rossa contro la squadra blu. Ciò accade nel momento in cui abbiamo deciso che questa è una politica di guerra e tutte le normali regole sono sospese, e i conservatori possono fare cose da liberali per vincere. Conservatori che fanno crescere il deficit, se ciò li aiuta a vincere. Possono dare inutili assegni di disoccupazione ai porci se ciò serve a eleggere un altro "conservatore" al congresso. Possono andare in guerra se ciò fa apparire il loro presidente come un leader e gli fa vincere un altro mandato.

Ma nel procedere, Ron Paul ci ha mostrato che abbiamo perso la nostra via. Non siamo più conservatori. Stiamo lottando per il potere non per i principi. Dobbiamo lasciar corso al processo di disfacimento e l'unico modo sarà quello di ritornare sui nostri passi e recuperare tutte le cose che abbiamo scaricato lungo il cammino.

Barry Goldwater accese un simile fuoco con la sua Conscience of a Conservative. La sua verità e i suoi argomenti erano così evidenti e così onesti che si rideva leggendoli ad alta voce. Ma Goldwater stesso è stato condannato alla sconfitta politica. E Ron Paul non aveva alcuna possibilità di vincere queste elezioni. Si è capito la prima volta che ha aperto bocca.

E tuttavia le parole e le argomentazioni di Ron Paul risuonano ancora. Ancora aleggiano su queste elezioni. Sono fastidiose e indimenticabili. Hanno generato i blog, i documenti e i libri che sicuramente un giorno, come la rivoluzione di Goldwater, produrranno il loro nuovo Ronald Reagan. E quando quei giorni inebrianti verranno, un piccolo ma cordiale gruppo di pionieri, che per primo avrà il coraggio di unirsi a lui e comincerà a gridare nelle strade "Quelli non hanno nessun vestito addosso!", dirà che loro potevano vedere ciò che il paese aveva perso. Perché loro c'erano già, mentre si faceva la storia.

John McCain e le sue parole miseramente scelte, restare in Iraq cento anni, gli hanno quasi garantito che sarà lui la risposta alla domanda “chi è stato il repubblicano a perdere il biglietto che ha fatto vincere la prima donna o il primo nero alla Presidenza? Un'altra domanda interessante sarà: "Chi era l'altro candidato in corsa quell'anno che ha lanciato il movimento che poi dominerà la politica nazionale per le successive generazioni?"
E la risposta sarà Ron Paul.


Ron Paul: continuare, correggere, rifondare...


Credo che tutti siano già a conoscenza dei risultati di ieri, per quanto non definitivi.
Sono le 21, le 15 a Washington, non dovrebbe mancare un comunicato di Ron Paul, tuttavia ad ora è annunciato solo il suo intervento domani ad una conferenza sul conservatorismo dove ci sarà anche McCain (!). Paul andrà avanti, senza illusioni presidenziali, ormai è chiaro anche ai più inguaribili ottimisti.
Sembra che né Romney né Huckabee abbiano voglia di mollare, non ci sono accordi in vista.
Si può solo sperare che le "arcane" (così oggi il Los Angeles Times!) regole dei caucus, coi loro delegati svincolati, alla fine portino qualche numero in più a Paul per renderlo necessario a Minneapolis.
Arrivare alla convention di Settembre senza che nessuno abbia già la maggioranza sarebbe un bel risutato, alla faccia della retorica sulla governabilità, sull'unità, sulla leadership sicura e via trombonando.
Se un pezzo del sistema è al collasso, in questo caso il Great Old Party, è meglio che si decomponga rapidamente: qualcosa di nuovo dovrà sostituirlo e al peggio non c'è mai fine, ma per il movimento paulista dovrebbero esserci più chances di inserimento in un momento di crisi piuttosto che in uno di grande forza.
Un movimento, e spero che torneremo a discuterne, molto più variegato di quanto l'etichetta "libertaria" può ammettere.

Propongo di usare i commenti a questo post per un dialogo alla luce del big tuesday.
Lancio qualche spunto, poi su tutto si tornerà.

- il problema della libertà di informazione esiste, la vicenda internettiana di Ron Paul è positiva, dieci anni fa sarebbe stato impensabile il risultato di oggi. Però non è bastato. Bisogna proseguire su questa via, accelerare il transito all'informazione su internet di tantissime persone, anche medio-giovani e istruite che ancora non l'hanno fatto.

- Dato per acquisito che Ron Paul ieri ha subito ancora brogli (in alcuni seggi il suo nome non c'era, mentre c'era quello di Giuliani e di Thompson) e che in generale la "democrazia" americana è strettamente pilotata, cos'è di Ron Paul che non ha convinto tanti elettori che pure l'hanno conosciuto? Come dice qualche commento al post precedente e come trovai sulla Cnn già dopo la Florida, in molti temono le proposte libertarie e privatistiche radicali nella sanità e nella previdenza.

- Una dialogo non fazioso e non troppo teorico, dove si discutano i lati pratici positivi e negativi delle vedute liberale-libertaria e sociale-statale può essere utile, anche per noi, anziché parlare di "Berlusconi" e di "comunisti"?
Facendo questa domanda tengo presente quel che ho accennato sopra, cioè che il movimento paulista è molto "misto": se il motore della campagna fosse stato solo il movimento libertario (che peraltro in diverse sue espressioni ha pesantemente attaccato e diffamato Paul) , non si arrivava neanche a Natale.

-La scelta saggia di Ron Paul di restare nei repubblicani conferma che le terze vie, gli indipendenti, nei sistemi bipolari consolidati non fanno strada: se appena c'è un piccolo varco nei gruppi maggiori è utile infilarsi e contaminare fin dove si può. Per questo non credo all'efficacia neanche qui da noi di liste terziste o grilliste, come è stato scritto nei commenti. In ogni caso ci vuol un leader che sia "politico", come Ron Paul: non è questa la sede per discutere di Grillo, ma lui tecnicamente non è un leader politico. Non vedendo un Ron Paul italiano all'orizzonte, sarebbe utile intanto diffondere a livello culturale -e chi può, a livello politico- lo schema e la sostanza del suo successo che comunque non è piccolo. In Europa, con sistemi politico-elettorali diversi, un'esperienza simile avrebbe sfondato....

martedì 5 febbraio 2008

America, l'inverno della democrazia e la primavera di Ron Paul

Caleb O'Connor: Ron Paul, olio su lino. Chicago, Febbraio 2008.


Domani è primavera.
Il “big Tuesday” di oggi porterà qualche colpo di coda dell'inverno, ma domani comincia la “Ron Paul Spring”.
Una lunga primavera dopo una semina oculata. Non nascerà il bengodi come qualche sostenitore impaziente vorrebbe: ne verrà il necessario per affrontare in salute il lungo viaggio fino al termine dell'estate, quando a Minneapolis dall'1 al 4 Settembre si sceglierà il candidato repubblicano alla presidenza.
Ron Paul prevede che sarà una convention bisognosa di mediazione, perchè nessuno ci arriverà con la maggioranza dei delegati. Domani sapremo, in buona parte, se la previsione è confermata.
Chi pensava di scuotere l'albero dei delegati in un giorno solo, chiudere il raccolto e non pensarci più, probabilmente si dovrà ricredere.
I repubblicani oggi votano in 21 Stati per assegnare 1081 delegati. In realtà sono molti di meno: coi meccanismi dei caucus, oggi se ne tengono parecchi, l'assegnazione definitiva avverrà più avanti. La maggioranza per la nomination è la metà più uno del totale, cioè 1191. Il
favorito McCain oggi deve fare i conti con gli altri tre, che sicuramente raccoglieranno la loro parte: Huckabee spara gli ultimi colpi in qualche Stato del Sud, Romney Mor-money, dopo tanto investire qualcosa si riprenderà.


Vediamo la strategia di Ron Paul e gli ultimi segnali dal territorio.
Paul si è concentrato non solo ma soprattutto sugli Stati dove ci sono i caucus: qui è stato presente negli ultimi giorni ed ha speso di più in pubblicità. La sua forte militanza territoriale e lo sfavore mediatico fanno sì che un voto che richiede più motivazione a partecipare, il caucus appunto, tradizionalmente snobbato dal più vasto elettorato d'opinione (televisiva), lo veda favorito.

In Alaska, Colorado, Minnesota, Tennessee, Washington, Arkansas, North Dakota, West Virginia, Montana la sua pubblicità radio-tv è massiccia.
Capita di leggere qualche sostenitore che ritiene troppo spartani gli investimenti pubblicitari, come nella big California, 35 milioni di abitanti e 170 delegati in palio. Qui Romney, Clinton e Obama vanno in tv a martello giorno e notte, si vedono solo loro. Decine di milioni di dollari on air e per qualcuno in fumo. Romney ne aveva spesi 5 o 6 solo in Florida, dove non ha vinto niente. Valeva la pena per Ron Paul competere in questo modo, dilapidando un patrimonio necessario per andare avanti? No. Ma persino in California potrà intascare qualcosa: l'assegnazione va al primo arrivato nei singoli piccoli distretti, non è escluso che la presenza forte di gruppi paulisti a macchia di leopardo ne possa vincere qualcuno.
Segnali positivi: ieri in Minnesota dove si vota per 40 delegati (caucus e quindi bassa affluenza) Paul ha parlato ad una folla di oltre 4000 persone, più di quelle radunate da Hillary qualche giorno fa.
Poche ore prima in Nord Dakota (caucus, 26 del.) 1200 persone. Bene Domenica in Tennessee (caucus, 56 del.), 1600 persone, presenza capillare di cartelli. Tutti fatti citati anche da fonti di news locali e “neutrali”. Molto bene settimana scorsa a Denver, Colorado (caucus, 43 del.) stato con alto numero di donatori. Notizie buone anche da Seattle, Washington: alto numero di donatori e buone manifestazioni per 40 delegati in gioco, però venerdì prossimo. A margine, da Seattle segnaliamo l'ennesima curiosità della “democrazia” americana: qui fanno endorsement -in questo caso per McCain, figurarsi- anche il Segretario di Stato, che è il responsabile delle elezioni, una figura con tratti dei nostri prefetto e ministro dell'interno, e incredibile ma vero, il Procuratore Capo dello Stato, il più alto ruolo della magistratura! Chiudiamo l'inciso, che è meglio...
Dal Montana (caucus, 27 del.) arrivano endorsement “normali” per Ron Paul: lo appoggiano in 7 tra deputati e senatori al parlamento dello Stato. Ci sono poi vari endorsement, che magari a noi dicono poco, ma localmente qualche aiuto dovrebbero darlo. Dai pro-gun agli anti-immigrazione, discutibili fin che si vuole ma rilevanti, senza dimenticare (avremmo voluto parlarne di più...) la mitica “Jane Roe”, Al secolo Norma McCorvey: avvocato fautore dell'aborto, negli anni '70 vinse la nota sentenza costituzionale che lo legalizzava in tutti gli States. Norma già da qualche anno testimonia il suo meditato e serio capovolgimento di convinzione, dedicando tutta se stessa alla causa pro-life. C'era anche Huckabee in teoria su questo fronte, ma lei ha creduto in Ron Paul.



Saranno le prime ore del mattino da noi, e sarà pioggia di dati. L'esperienza ci dice che dovremo aspettare almeno qualche ora, se non qualche giorno, per capire meglio com'è andato questo big tuesday. Vedremo di non fare commenti affrettati (oppure no, se saremo costretti dagli eventi...)

Resta che la democrazia americana patisce un inverno micidiale, una glaciazione che sembra irreparabile. Lo spregio della trasparenza nelle elezioni e nella comunicazione sono cronaca di questi giorni, e sintomo di un regime disfatto. Ben peggio è tutto quel che denunciano Ron Paul e non pochi intellettuali indipendenti: le guerre e il collasso dell'economia ad esse legato per molti aspetti; una nazione che vuol imporre con la perenne minaccia militare l'uso del dollaro e ottenere quel che consuma e non produce; il conseguente sequestro delle libertà civili, l'assenza di garanzie nell'arresto e spesso nei processi, la schedatura delle voci critiche e la selezione nell'ingresso negli Usa dei giornalisti stranieri; l'esibizione di arroganza, le ordinarie testimonianze di violenza grave fino a casi di sequestro di persona, da parte delle forze dell'ordine e ai varchi aeroportuali, verso chi ha “l'aria da arabo” e magari è indiano o sudamericano; il taser, le scosse elettriche che possono portare a lesioni permanenti e alla morte i soggetti più deboli, usato dalla polizia contro i manifestanti che alzano troppo la voce; l'aggressione delirante verso la libertà di comunicazione, come vediamo nella spaventosa documentazione in cui il Pentagono descrive internet come un nemico.
Questa era glaciale viene scalfita da voci diverse, di destra o di sinistra e altre ancora.
Ma la sola chance politica viene da Ron Paul e dalla lunga primavera 2008 che inizia domani.
Chi lo odia è più forte di lui, ma non è questo l'unico insegnamento della storia.
Dall'amore di libertà, di giustizia e di verità, dalle grass roots arriva: domani fiorisce la Ron Paul Spring.


Andrea & Francesco

lunedì 4 febbraio 2008

MAINE, RON PAUL BATTE MCCAIN

TESTA A TESTA CON ROMNEY PER I DELEGATI

Dagli United States of Amerikistan ecco spiegato perché i risultati ci hanno messo tre giorni
ad arrivare.
Segue comunicato ufficiale della Campagna di Ron Paul di circa un'ora fa (22 italiane).

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Nella assegnazione dei delegati, Ron Paul testa a testa con Romney per il primo posto

ARLINGTON, Virginia - Mentre la maggior parte delle cronache dello scorso fine settimana sul Caucus in Maine erano incentrate sulle puramente simboliche preferenze presidenziali, nella corsa che aveva un senso, quella per ottenere i delegati alla convention di Stato, Ron Paul è attestato al secondo posto, con probabilmente il 35 per cento del totale dei delegati .

I delegati per la convention nazionale repubblicana di Minneapolis verranno eletti dai delegati dei singoli stati. I risultati ad ora provenienti da 10 contee su16, tra cui Portland, la città più grande, e poi South Portland, Lewiston, Auburn, Augusta, Waterville, Bangor, e Brewer, mostrano che Ron Paul raccoglie già 215 delegati alla convention di Stato su 608 finora conteggiati, ovvero il 35%.

"Per Ron Paul un nettissimo secondo posto nel Maine, dove ha battuto John McCain, è la prova che questa corsa è ben lungi dall'essere terminata", ha detto il campaign manager Lew Moore. "Noi continueremo a combattere per ogni delegato in questa corsa laergamente aperta per la nomination repubblicana".

Nel conto delle preferenze presidenziali al 70% del voto scrutinato, Ron Paul è al terzo posto a soli due punti percentuali dietro John McCain. Tuttavia le preferenze nel caucus del Maine sono puramente un concorso di bellezza, mentre nella effettiva elezione dei delegati dello Stato, il cosiddetto "front-runner"McCain è molto più indietro di Ron Paul.

domenica 3 febbraio 2008

Bene Ron Paul in Maine. E sarà sempre più gara di resistenza


(non) aggiornamento
13.30 Anche nel Maine come in Louisiana sono andati a letto presto, i dati sono fermi da ieri sera al 68%, con la gara "morale" tra Paul e McCain per il secondo posto assolutamente non definita.
A quando gli osservatori Onu sul voto negli Stati Uniti of bananas?
(non) aggiornamento 2
18,45 I dati scrutinati sono rimasti al 68%. E oggi sicuramente si tengono molto meno del 32% dei caucus. Considerato che tra McCain e Paul ci sono 100 voti, nel dubbio è più che mai opportuno arrivare al supermartedì con McCain che NON resta dietro a Paul. Dagli Stati Uniti of Weimar per ora è tutto.
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Ron Paul in Maine si avvia al suo miglior risultato percentuale e lotta con McCain per il secondo posto attorno al 20%. Se i due restano vicinissimi, possono essere determinanti i pochi caucus che ancora si svolgono nella giornata di Domenica. Romney è davanti con un tale margine da non mettere in discussione la sua vittoria. Ci accompagnerà sempre il dubbio che se McCain sarà davanti di poco, sarà stato grazie a qualche aiutino. Un predestinato non può restare dietro a Ron Paul: guardate che fine ha fatto l'ex-predestinato Giuliani!
Tatticamente è positivo che abbia vinto Romney piuttosto che McCain perchè lascia la partita più equilibrata. Già si nota maliziosamente che qui l'altra volta l'eroe aveva preso il 44%...
Huckabee, il sedotto e abbandonato di quest'annata presidenziale, torna nelle sue retrovie naturali intorno al 5%.
In ogni caso, il complesso metodo di attribuzione di delegati locali "non vincolati" che andranno all'assemblea del Maine a Maggio -quando si voteranno i delegati nazionali- non permette di tirare oggi con le somme con facilità. Quantomeno è scorretta l'attribuzione automatica a Romney dei 18 delegati finali, che non escono dal caucus di oggi.


La performance di Ron Paul su Mtv








parte 2, parte 3, parte 4

Ringrazio l'amico Giulio del blog Petrux che ci offre un bel commento sulla serata e sugli altri candidati:
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Sto finendo di guardare "Closing Arguments", incontro organizzato da M-Tv con quattro candidati alla presidenza degli Stati Uniti, che rispondono a domande fatte da giovani elettori. Inizia Mike Huckabee. Confesso che me lo ricordavo peggio: parla bene, senza intoppi, ha anche qualche sprazzo di ironia. Insomma, non è poi così malaccio. Tuttavia convince poco. Ron Paul è il secondo, ma di lui parlerò in seguito. Il terzo canidato a rispondere alle domande dei ragazzi presenti in studio è Obama. Il pubblico in studio non nasconde le sue simpatie per il democratico: applausi fragorosi quando viene presentato. Ma durante le risposte appare impacciato, un po' inconcludente e i sondaggi raccolti in tempo reale dalla rete non sono poi così entusiasmanti. Tuttavia sembra aver convinto almeno i presenti in studio (stando a quanto dicono i due ragazzi intervistati nel tempo morto in cui si attende il collegamento di Hillary Clinton). In questo momento sta parlando la Clinton che - stando sempre ai sondaggi - sta consacrando la sua debacle (parlando di politica estera ha appena detto: "we ensure [...] to protect our interests around the world"... credo non ci sia nulla da aggiungere).

Ma adesso parliamo di Ron Paul. Tutti aspettavamo questa sua sofferta partecipazione a "Closing Arguments" e posso dire che il nostro Ron è stato assolutamente grandioso!!! Ha risposto brillantemente a tutte le domande: mai una minima esitazione, mai mezzi termini. Ha parlato di cambiamento, ma di un cambiamento vero. Non ha avuto problemi ad esporre il suo programma rivoluzionario in materia di politica fiscale e monetaria, come pure ha parlato delle sue idee in politica estera senza girare intorno agli argomenti ("Non-intervetion is the only way to go", mi pare di aver capito ad un certo punto). In particolare la domanda che riguardava la politica estera è stata particolarmente insidiosa: infatti il ragazzo - che la mia attitudine dietrologica mi porterebbe a catalogare come "perfettamente istruito" - ha ben specificato che la domanda non riguardava la politica americana in Iraq e in Afghanistan. Come potete guardare dalla schermata sottostante, anche il sondaggio era estremamente chiaro. E, per fortuna, anche i risultati lo sono stati altrettanto.






Alla fine il nostro Ron ha convinto: il 51% dei partecipanti al sondaggio ha detto che voterà per il congressman texano!
Che altro aggiungere? Spero solo che il dibattito sia servito per dare a Ron Paul la visibilità che i media tradizionali gli negano. Forza Ron, la Revolution è vicina...

Giulio Petrucci aka "il Petrux"

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I giudizi del pubblico dopo gli interventi dei candidati (grafica)


sabato 2 febbraio 2008

McCain eroe di guerra in fuga da Mtv

Il gatto e il gatto*


C'è chi ha paura delle domande dei giovani. Magari hanno dubbi sulle guerra e non vogliono essere mandati per 100 anni in Iraq. Magari sono meno preparati e collaborativi del rampollo dei Vanderbilt, il glaciale divo della Cnn Anderson Cooper.
Così Romney e McCain hanno declinato l'invito di MTV per stasera. Per i repubblicani ci saranno solo Huckabee e ovviamente Ron Paul, il favorito dei giovani, come ha ammesso anche MTV, derogando alla regola di invitare solo i candidati con risultati medi sopra il 10%.
Dato il clima di battaglia, queste assenze -peraltro volontarie...- non possono che farci piacere.

L'evento è alle 24 ora italiana, si accede al sito della diretta cliccando l'annuncio qui sotto.
Nell'attesa, consiglio vivamente l'approfondimento sulla vita dell'eroe John McCain, come ce lo racconta il bravissimo Massimo Mazzucco su luogocomune.





*Versione adattata dell'espressione il gatto e la volpe, causa mancanza di volpe.

venerdì 1 febbraio 2008

Ron Paul bene in cassa, bene sul territorio

...e bene in famiglia. Buon anniversario!

Ron Paul ha ottime chanches nei caucus del Maine, dove si vota stasera, domani e in qualche sede anche Domenica. Il risultato praticamente definitivo è atteso per Sabato notte.
Come in Nevada e Louisiana il meccanismo assembleare premia la motivazione a partecipare e il radicamento sul territorio. Il Maine assegnerà 18 delegati ai repubblicani attraverso due passaggi locali. Piccoli numeri, come per esempio nel vicino New Hampshire, dove però tutti guardavano, infatti erano i primi test elettorali.
Oggi invece l'attenzione è generalmente scarsa, i democratici non votano e per l'ineffabile Fox il caucus non è nemmeno in calendario. Dei repubblicani sembra gliene importi poco, il patron Murdoch già da tempo finanzia Hillary e sul Washington Times spinge Obama. Alla faccia della competizione, oggi tutti tirano fuori l'ipotesi che i due correranno insieme. Probabilmente è uno degli accordi che fa restare Bloomberg a casa.

Ron Paul è stato molto presente in Maine e fonti repubblicane “neutrali” prevedono che andrà bene. E' l'unico politico repubblicano davvero radicato sul territorio e in modo uniforme. Addirittura sono state agiunte nuove sedi di assemblea elettorale grazie alla presenza di militanti paulisti. Al contrario abbiamo visto (Giuliani docet) che i cosiddetti big devono scegliere alcuni stati chiave, nell'impossibilità di seguirli tutti. Non vuol dire, e lo vediamo, che Ron vinca. Infatti molti voti vengono dall'appoggio mediatico e dal lavaggio del cervello praticato agli elettori. Cosa sarebbe di McCain se dovesse basarsi sulla militanza di base! O sui soldi che ufficialmente non ha! E Huckabee? Anche lui ora si lamenta del cattivo trattamento nei dibattiti in tv. La regia mediatica si sente più che mai onnipotente: Huck l'ha creato, e ora lo distrugge.
Un'eventuale vittoria di Paul in Maine, pur senza ridursi al marasma silenziato della Louisiana (a proposito: il Gop ha confermato i “risultati”, ma nessuno è riuscito a dare un riepilogo numerico...comunque il giorno 9 si avrà il successivo passaggio elettorale) avrà valore se adeguatamente riportata. Ci sono Domenica e Lunedì, sufficienti per parlarne prima del big Tuesday. Ma come sappiamo, non si farebbero scrupolo a tacerne.
Vedremo anche come andrà domani su Mtv: credo sarà un evento pesante sul voto giovane.



Intanto oggi c'è un buon movimento nella raccolta fondi: si festeggia concretamente, oltre che in spirito, il matrimonio più bello e più solido della politica americana: Ron e Carol oggi compiono 51 anni di matrimonio. Non dimentichiamo che la testimonianza umana è motivo del successo di Ron Paul almeno quanto la bontà del suo progetto politico. Auguri!


Bloomberg non si candida

Preferisce guardarci da lassù.

Il Sindaco di New York ieri era in visita alla sede di Google nella sua città. Stavolta ha negato seriamente la sua candidatura presidenziale come indipendente.
L'interpretazione della notizia è semplice, l'approfondimento è impossibile.
E' semplice immaginare che Bloomberg non abbia lesinato mezzi, contatti e sondaggi per valutare la fattibilità dell'operazione. Il responso lo ha portato a rinunciare. La tradizione terzopolista in America con lui avrebbe avuto certamente un momento di spolvero, ma non la Casa Bianca. Si sa che puntava sul repubblicano-quasi democratico Schwarzenegger e sul consenso nella way of life della California, lo stato più popoloso. Ma ieri il governatore ha fatto endorsement per McCain.
L'approfondimento impossibile si ferma davanti alle porte dei salotti politici e finanziari tra New York e Washington. Dove probabilmente si stanno concludendo accordi, definendo strategie e leggendo sondaggi coerenti con gli accordi e le strategie. Un mondo bipartisan, ma in tv parlano di bipolarismo.
A noi non resta che aspettare.